Due anni e dieci mesi di reclusione. E’ questa la pena richiesta dal pubblico ministero Piero Basitone ai danni del vicepresidente del consiglio comunale di Milano e consigliere del Pdl Stefano Di Martino, accusato di aver partecipato alla rivolta dei cinesi contro le forze dell’ordine scoppiata a Milano nell’aprile 2007. Di Martino deve rispondere di ingiuria, lesioni, resistenza a pubblico ufficiale e adunata sediziosa, nel processo per i disordini davanti alla quarta sezione penale del Tribunale di Milano.
Era il 4 aprile del 2007 quando in via Paolo Sarpi, cuore della Chinatown milanese, scoppiarono dei tafferugli tra cinesi e forze dell’ordine. La protesta sarebbe partita da una multa inflitta a una commerciante che scaricava merci fuori orario dalla sua auto: la cinese si rifiutò di mostrare i documenti a due vigilesse che stavano effettuando controlli di routine e dal diverbio si passò alla rivolta, durata per ore.
Stando alle indagini, Di Martino avrebbe partecipato e sostenuto la rivolta dei cittadini cinesi. «Tu per me non sei nessuno, sei un pirla, non conti, dammi il tuo nome che ti sistemo» avrebbe detto il politico ad un vigile urbano, durante i tafferugli. Non solo. Ai vigili, che stavano fermando Ruo Wei Bu, la donna cinese, avrebbe rivolto un avvertimento che per la procura è una minaccia: «Meglio che la liberate subito o di qui non uscite facilmente».
Sono le telecamere e le testimonianze ad incastrare il vicepresidente del consiglio comunale di Milano. Immerso nella folla, prima strattona un vigile, poi si avvicina a un altro agente e lo spinge contro un furgone per impedirgli di ammanettare la cinese, infine colpisce con una spallata un terzo agente.
Nel processo sono indagati anche 41 cittadini cinesi, accusati, fra le altre cose, di danneggiamenti, lesioni e resistenza a pubblico ufficiale. Alcuni vigili urbani, feriti negli scontri, si sono costituiti parte civile e lo stesso ha fatto il Comune di Milano per i danni causati dai tafferugli.
