ROMA – Estate, periodo di finanziaria. Come ogni anno si torna a parlare di taglio dei costi della politica, che si faranno, come sempre, “domani”. Ma i costi della politica non sono tanto, o almeno non solo, le auto blu, gli stipendi dei ministri e le pensioni “facili”. Come spesso accade, anche in questo caso la differenza la fa soprattutto la quantità e i ministri e persino i parlamentari, in fondo non sono molti. Anzi sono pochi se confrontati ad un esercito fatto di 38mila poltrone ed oltre 3500 imprese. Esercito che può generare costi molto consistenti. Sono le cifre delle imprese controllate dai comuni italiani, molte delle quali, manco a dirlo, in rosso.
Definirla “nuova casta”, come fa il Corriere della Sera, pecca di originalità e connota di novità una realtà che di nuovo ha ben poco. Ma certo la mole di enti controllati dai comuni italiani e, soprattutto, la mole delle loro perdite economiche, unite al servizio spesso scadente che offrono, meriterebbe una riflessione accurata. In particolar modo quando si parla di tagli ai costi della politica. Vero è che i referendum sull’acqua pubblica, riferendosi in realtà non esclusivamente alla gestione dell’acqua, hanno per volontà popolare rimesso in gioco e rilanciato questo incredibile e mastodontico mondo, ma i numeri che fornisce l’Anci sono, come dire, interessanti.
I comuni italiani, circa 8 mila, controllano 3.662 imprese. Ma, attenzione, di queste, quelle che erogano servizi pubblici, sono appena un terzo: 1.266. I restanti due terzi si occupano di altro, semplicemente. Ben 537 si occupano di «infrastrutture ed edilizia». Altre 266 di «cultura, turismo e tempo libero». E 140 di «istruzione, ricerca e sviluppo». Poi ce ne sono ancora 1.453 di «altri servizi», fra cui le farmacie comunali.
Oltre alle “controllate” esistono poi le realtà a cui comuni e provincie “partecipano”. In una indagine condotta lo scorso anno la Corte dei Conti ha accertato che in Italia ne esistono 5.860. Di queste, ben 3.787 hanno una forma giuridica societaria. Le società per azioni sono 1.635, mentre quelle a responsabilità limitata raggiungono la cifra di 1.402. Ci sono poi 556 consorzi e 194 cooperative. Un universo ampio e variegato dunque. E non è tutto, in una precedente inchiesta i magistrati contabili hanno calcolato che questo incredibile reticolo di enti e imprese garantisce la bellezza di 38mila poltrone, fra consigli di amministrazione (23 mila), collegi sindacali (12 mila) e incarichi «apicali» (almeno 3 mila), come si definiscono in gergo.
Un esercito vero e proprio. Migliaia di uomini al lavoro, pagati in toto o in parte con pubblico denaro che, spesso, fanno anche danni. Secondo un’analisi riferita al periodo compreso fra il 2005 e il 2008, ci sono infatti ben 568 società sempre costantemente in perdita. Dice la Corte dei Conti che «la percentuale più alta» di queste imprese con il bilancio negativo si riscontra in Basilicata, con il 40%, seguita dal Molise e dalla Sardegna. I magistrati contabili sottolineano quindi che sono i settori diversi dai servizi pubblici locali quelli dove si concentrano le società perennemente in deficit: sono il 63,3% del totale. Il record assoluto, neanche a farlo apposta, spetta alle «attività culturali e di sviluppo turistico». Forse Tremonti aveva ragione a dire che con la cultura non si mangia.