Sì, va bene: non saranno per tutti. Sì, va bene: ci faranno vedere solo le poche case finite. Sì, d’accordo: il centro de L’Aquila resta un buco nero e forse diventerà una sorte di moderna Pompei. Sì, ci stanno allestando sopra uno show trionfale. Sì, va bene tutto. Però a cinque mesi dal terremoto questo governo qualcosa ha costruito e a qualcuno consegna la casa. Non era mai successo, non si era mai visto. Il prezzo è stato quello di appalti e lavori senza controllo? Un sospetto, solo un sospetto senza prove. Si doveva fare altrimenti? Forse. Ma nessuno può negare che si sia fatto qualcosa. E se Berlusconi si appunta al petto la medaglia, fa bene, la medaglia non è di latta. E se Berlusconi si va a celebrare in tv da Vespa come il ricostruttore stavolta ne ha il diritto.
Quel che non va non è la celebrazione officiata dal cerimoniere di casa. E neanche la prima serata tv dedicata alla “messa”, al “te deum” della ricostruzione. Quel che non va è la “rete dell’obbligo”. Il giusto e fondato orgoglio governativo per la consegna delle prime case si “sporca” dell’obbligo ad essere tutti presenti e sintonizzati. E’ l’obbligo che offende, non la celebrazione. Il successo di Berlusconi c’è, ma c’è anche una convocazione forzata del pubblico all’applauso. E’ questo il senso della cancellazione dal palinsesto della puntata di Ballarò: non avrai altra trasmissione all’infuori di me. Invece che come cittadini invitati ad apprezzare un atto di buon ed efficiente governo, siamo tutti chiamati come pubblico a fare “share” ad un format televisivo. Peccato, davvero peccato perchè la vicenda documenta, testimonia che, anche quando è buon governo, questa idea di governo che regna non sa essere altro che autoritaria. L’applauso alla ricostruzione veloce era garantito, era nelle cose e nelle case. Hanno voluto che fosse pure obbligatorio e, già che c’erano, hanno deciso di fare le prove della “rete dell’obbligo”.