Dimmi chi ti attacca e ti dirò chi sei: all’ingrosso è un “proverbio” che vale anche per la politica. Marco Travaglio attacca come mai Antonio Di Pietro. “Se farà la fusione con il Pd, la gente gli metterà le mani addosso…”. “E’ preoccupato per le cose che scrive il Corriere della Sera, tutto questo gli ha fatto perdere lucidità e ha condizionato il congresso dell’Idv…”. “Grazie a Di Pietro la Campania finirà a Caldoro o De Luca, che sono la padella e la brace…”. “L’ovazione del Congresso a De Luca è stata l’apoteosi della catastrofe…”. “Di Pietro doveva correre in Campania da solo…ha candidato un inquisito, questa storia sarà il suo tallone d’Achille per sempre…”.
Dunque per Travaglio Di Pietro è un politico sotto ricatto della grande stampa, che al “ricatto” risponde acquattandosi. Un leader di partito che tresca con il peccato dei peccati: avvicinarsi al Pd ammaliato niente meno che dalla prospettiva di arrivare un giorno al governo. Un segretario che accetta di appoggiare una candidatura, quella di De Luca in Campania, che equivale a quella di Caldoro del Pdl, Caldoro che per Travaglio è uomo di Cosentino”. Un leader che ha organizzato e gestito un “Congresso- catastrofe” e che ha messo in mostra “per sempre il suo tallone d’Achille”, niente meno che la violazione del principio sommo del “non si candida un inquisito”.
Lo “scandalo” che Travaglio denuncia, la quasi scomunica di Travaglio a Di Pietro consistono e derivano tutti e tutti interi dalla vicenda campana, dal sì di Di Pietro ad un appoggio elettorale a un candidato che peraltro molto difficilmente vincerà le elezioni? No, lo “scandalo” vero che Di Pietro ha dato agli occhi di Travaglio e di una buona parte di coloro che hanno puntato sull’Idv è altro. Lo “scandalo” è nelle parole pronunciate da Di Pietro il primo giorno del Congresso: “Di opposizione si muore”. Scandalo intollerabile per chi di opposizione vive, nei sentimenti, nella cultura, nella militanza. E anche nel ruolo in società. Scandalo poi raddoppiato da altro che ha detto Di Pietro: “Berlusconi non si batte per via giudiziaria, si sconfigge con un’alternativa politica”. Questa per Travaglio e non solo per lui è la vera blasfemia, la vera “bestemmia”. Non voler mandare in galera Berlusconi è già per Travaglio evidente tentazione di connivenza con il nemico.
Per Travaglio la storia politica d’Italia è semplice e lineare: una banda di violatori di ogni legge si è fatta partito, maggioranza e governo. Una storia semplice che somiglia tanto a quella raccontata a fumetti giudiziari da Ciancimino junior in Tribunale. Una storia che non tollera neanche un grammo di complessità.
Chi crede, crede perché di fede si tratta, in questa storia-rivelazione non può, non ce la fa a pensare che è plausibile, molto plausibile che capitali mafiosi abbiano finanziato l’edilizia milanese ai tempi, anche quella berlusconiana. Capitali mafiosi tentano di ripulirsi in ogni modo, possono essersi infilati in ogni azienda, è storia italiana e non solo berlusconiana. Ma che la mafia si sia fatta partito, che abbia conquistato per interposta persona milioni di voti per decine di volte consecutive, che la mafia abbia capito e interpretato l’Italia, che Forza Italia sia una mafia mascherata è plausibile come il mondo governato dal Dottor No e dai suoi gatti dal lungo pelo nei film di James Bond. Se a questa storia politica credi, narrazione per cittadini-bambini disinformati, ne discende che il “Cattivo” deve espiare, finire ai ceppi. Altra politica non c’è, anzi ogni altra politica è intesa, cedimento, tradimento e “inciucio”.
Accade così, nella testa e nelle parole di Travaglio, e dei mille, centomila, un milione di Travaglio che ci sono e concordano con l’originale, che uno come Di Pietro, uno che dice un giorno sì e l’altro pure che “il governo Berlusconi è piduista e fascista”, uno che una settimana sì e l’altra pure parla al paese di una “dittatura strisciante e marciante” nel segno di Berlusconi, uno così diventa sospetto e debole perché osa dire niente meno che vorrebbe provare a por fine al governo di Berlusconi nel 2013. Per questo Travaglio attacca Di Pietro: fino a che Berlusconi c’è Travaglio e il suo popolo sanno, in coscienza e scienza, cosa fare. Non ci fosse Berlusconi, la loro scienza e coscienza politica avrebbe insopprimibili voglia e bisogno di qualcun altro da perseguire. Magari D’Alema, ma è stato già fatto. Con Veltroni non si è fatto in tempo ma erano pronti. Con Napolitano si fa nella misura che si può. Si può fare anche con Di Pietro, Travaglio è stato chiaro.