TRIESTE – La svolta a sinistra di Trieste, che ha premiato con il 57% dei voti il candidato Roberto Cosolini, è uno dei segnali più significativi del voto amministrativo appena concluso in Italia. Trieste, infatti, è città storicamente di destra che con i “comunisti” ha più di qualche conto in sospeso.
Queste elezioni, invece, segnano proprio il superamento di una pregiudiziale: Cosolini (un po’ come il Pisapia di Milano) è infatti un candidato fortemente connotato a sinistra. Viene dal Partito Comunista e poi ha fatto tutta la trafila della mutazione del partito: dal Pds a Ds fino a Partito democratico. Molto più di Illy (l’ultimo sindaco non di destra a governare la città) Cosolini è percepito come “rosso”.
Non a caso i suoi avversari, come scrive il quotidiano locale “Il Piccolo”, hanno più volte in campagna elettorale agitato lo spettro dell’estremismo: lo ha fatto il suo sfidante per il Comune, Roberto Antonione e lo ha fatto leghista il Massimiliano Fedriga e lo ha fatto persino il ministro degli Esteri Franco Frattini. Non è servito: Trieste ha smaltito una pregiudiziale ideologica e ha scelto un candidato autenticamente di sinistra.
Le dimensioni della città hanno portato forse a sottostimare il significato del voto: ma il segnale che esce da Trieste, per il centrodestra, è forse peggiore di quello di Milano. Il primo a dirsi sorpreso del margine di quasi quindici punti sull’avversario è proprio Cosolini che dopo la gioia riflette: “Con questo voto, Trieste ha dimostrato di essere libera dai condizionamenti, dalle paure e dai fantasmi del passato e pronta a compiere scelte politiche che guardano al futuro”.
Per la sinistra è stato decisivo mettere in campo trasparenza e utilizzare lo strumento delle primarie in modo chiaro. Da Trieste a Milano, passando per Bologna, infatti, il risultato è sempre lo stesso: dove il Pd ha fatto le primarie ha vinto perché ha convinto i suoi elettori ad andare alle urne. Dove il Pd non ha fatto o ha sbagliato le primarie, come a Napoli, è stato punito duramente.
Il percorso che ha portato Cosolini a diventare sindaco è iniziato a dicembre 2010: il candidato del Pd Cosolini, alle primarie, ha superato Marino Andolina (Rifondazione comunista, oggi eletto in Consiglio comunale con la Federazione della Sinistra) e Alessandro Metz (dell’apartitico Progetto Comune). Da quel momento il centrosinistra ha lavorato compatto per ottenere un risultato che solo sei mesi fa sembrava irragiungibile.
Una mano, decisiva, alla sinistra l’ha data il centrodestra che a Trieste è stato a lungo dilaniato dalle tensioni tra il sindaco uscente Roberto Di Piazza e il senatore Giulio Camber che puntava su un’altro candidato che alla fine si è ritirato. Antonione, quindi, si è ritrovato ad essere la “toppa” dell’ultimo minuto, l’uomo che avrebbe dovuto ricucire lo strappo e tenere la città. Missione fallita su entrambi i fronti. L’ex sindaco, infatti, in piena campagna elettorale utilizzava uno slogan che di tutto sapeva tranne che di riappacificazione: “Con me e Antonione contro Camber, dobbiamo liberare la città”. Detto da un sindaco in carica a proposito di un collega di partito suona quantomeno equivoco. I triestini di centrodestra, infatti, non hanno gradito e hanno disertato in massa le urne.
Al primo turno, poi, l’area di centrodestra contava un candidato Pdl (Antonione), uno della Lega ( Massimiliano Fedriga), uno che faceva capo ad un pugno di liste tra cui La Destra e Forza Nuova (Franco Bandelli (Un’altra Trieste), uno dell’Udc Edoardo Sasco e uno del Fli (Michele Lobianco). Troppi candidati per non disperdere e confondere. Al secondo turno, poi, l’unico apparentamento ufficiale per Antonione è stato quello con la Lega. Il Carroccio si era accordato per un sostegno che in caso di vittoria avrebbe fruttato quattro posti in più in Consiglio Comunale. Non è bastato. E Trieste, ora, si prepara a un inatteso quinquennio “rosso”.
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