A Coccaglio, il paese del bresciano che sta pianificando una cacciata in grande stile degli immigrati clandestini per Natale, non va giù di essere definiti razzisti. Un inviato di Repubblica s’è recato in loco per sondare gli umori della gente, per verificare di persona la situazione dei rapporti tra autoctoni e immigrati.
Non sorprende che l’operazione “White Christmas” riscuota il plauso di chi è convinto che l’immigrazione sia un pericolo e al contempo scandalizzi la Chiesa, i partiti oggi all’opposizione, il mondo delle associazioni e in generale chi ha a cuore l’uguaglianza dei diritti. L’inviato Sandro de Riccardis ha voluto però guardare più a fondo: la piazza, i bar, i ritrovi della middle class locale e quelli frequentati da cinesi, romeni, africani ecc.
Un dato è incontrovertibile: nel 1998 gli stranieri erano 177, dieci anni dopo sono diventati 1583. Su un paese di circa 7 mila anime rappresenta un terremoto etnico. Nel centro del paese, un borgo antichissimo che dà la falsa impressione che il tempo si sia fermato, due bar in piazza offrono la rappresentazione plastica della frattura fra due mondi che sembrano non comunicare.
Alla caffetteria Kelly sono chiari: “Qui gli immigrati non sono ben visti e infatti non entrano”. Non possono mischiarsi con la borghesia locale. “E’ razzismo se non mi piace che mio figlio di 12 anni esca con ragazzi romeni o africani?” dice una madre niente affatto imbarazzata. Il problema – da questo lato del paese – sembra stare in un difetto nella comunicazione: se al posto di “White Christmas” si fosse parlato di “Natale controllo della regolarità”, nessuno avrebbe avuto da obiettare. Le autorità comunali non parlano – aspettano che Maroni riferisca in Parlamento – ma si sentono assolutamente coperte e giustificate dalle indicazioni legislative, la mano pesante insomma sull’immigrazione irregolare.
Dall’altra della piazza il bar Castello, comprato e gestito dai cinesi, frequentato soprattutto da stranieri. Che frequentano anche il bar tabaccheria May Day più defilato rispetto al centro. Qui si ragiona solo di lavoro, che scarseggia, con la crisi i cantieri sono fermi. Il titolare ha a cuore la sorte di questi lavoratori provenienti da ogni parte del mondo. Non ha peli sulla lingua: “A me l’iniziativa non è piaciuta. Il metodo è terribile. Ti spediscono una lettera, se non rispondi entrano in casa, vedono se hai clandestini. Si faceva così ai tempi del Duce, lo faceva anche Stalin. Vogliamo tornare lì?”.