ROMA – Vitalizi ai condannati, scendono in campo i presidenti di Camera e Senato per abolirli. Il primo è Pietro Grasso che prende carta e penna per rispondere e dissentire dal presidente emerito della Corte Costituzionale Mirabelli che aveva definito “difficile” la revoca del vitalizio ai condannati.
Secondo Grasso, invece, il Senato ha tutto il diritto di abolire i vitalizi dei senatori condannati, non serve una legge. Per Grasso il parere di Cesare Mirabelli “non è fondato” e l’abolizione dei vitalizi non è “una sanzione penale accessoria”, quindi non c’è alcun “divieto di retroattività” di cui tener conto.
Subito dopo le fa eco Laura Boldrini:
“La mia posizione sui vitalizi agli ex parlamentari è chiara e nota da tempo: ritengo personalmente inaccettabile che si continui ad erogarli a chi si è macchiato di reati gravi come mafia e corruzione. La decisione spetta ora all’Ufficio di Presidenza della Camera e al Consiglio di Presidenza del Senato, che sono certa arriveranno quanto prima a deliberare su una materia così delicata, sulla quale c’è anche molta attesa da parte dell’opinione pubblica”.
Ma è quello di Grasso il parere che pesa e fa discutere di più. Perché il suo è un lungo e circostanziato affondo alla posizione di Mirabelli. Innanzitutto, il presidente del Senato contesta l’idea del costituzionalista secondo cui sulla materia bisogna intervenire per legge e non con una decisione autonoma delle Camere. Secondo Grasso si tratta di un’affermazione “paradossale”: “vale un principio generale del diritto , oltre che di palese ragionevolezza, secondo cui l’organo che produce una norma è l’unico che possa modificarla”.
E’ esattamente questo il caso dei vitalizi: “Non vi è dubbio – osserva Grasso – che la legge sia incompetente a disciplinare la materia, che è ricompresa nell’autonomia normativa (autodichia) delle Camere”. Grasso si sofferma sulla natura dei vitalizi. Essi “sono strettamente collegati” all’indennità prevista per i parlamentari dall’articolo 69 della Costituzione. “Ne consegue che se vengono meno i requisiti di legge per l’appartenenza alle Camere cade il diritto all’indennità e cade il diritto al vitalizio. Simul stabunt simul cadunt”. Grasso evidenzia che l’indennità parlamentare non va intesa come una “retribuzione” per un lavoro svolto: si tratta invece di una “indennità legata alla carica” nata per “consentire a chi sia in stato di bisogno di concorrere attivamente alla vita pubblica”.
Di conseguenza non c’è “un diritto al trattamento previdenziale connesso all’attività esercitata”. “Al contrario – aggiunge Grasso – si tratta di un diritto costituito dal consiglio di presidenza che può legittimamente escluderlo o limitarlo in casi specifici. Non si tratta di un diritto intangibile perché non ha come presupposto in un rapporto di lavoro”. Grasso sottolinea poi che l’abolizione del vitalizio per i condannati è collegato alle cause di ineleggibilità e incandidabilità previste dalla legge Severino (decreto legislativo 235 del 2012) per chi abbia riportato condanne superiori ai due anni per delitti di particolare gravità. Secondo Grasso “non è fondato il parere del Prof. Mirabelli secondo cui la cessazione dell’erogazione sarebbe assimilabile a una sanzione penale accessoria, come tale soggetta alla riserva di legge assoluta”. Infatti “la legge Severino non ha previsto una sanzione accessoria ma una condizione per l’esercizio dell’elettorato passivo, in particolare una condizione di moralità collegata alla condanna per determinati reati gravi. Se viene meno la condizione il soggetto non può ricoprire la carica di parlamentare e cessa da ogni connesso diritto
La base costituzionale di questa previsione è l’art. 54 Costituzione secondo cui “i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con onore” e il legislatore nell’approvare la Legge Severino ha ritenuto che non sussista questa condizione di onore se la persona è stata condannata per gravi reati. Da questo si desume che non sussiste un divieto di retroattività, che varrebbe ove si trattasse di una sanzione penale accessoria. Quando una condizione di eleggibilità viene meno (che sia la moralità, collegata ad una condanna, o la cittadinanza italiana), cade il presupposto sia per l’esercizio di una carica sia per la percezione di emolumenti che sono collegati ad una carica che non si può più ricoprire. E questo deve riguardare anche i vitalizi e le pensioni”.