Se i miliardi di dollari spesi negli ultimi anni dagli Stati Uniti e dagli Alleati per realizzare progetti di sviluppo in Afghanistan non hanno perlopiù sortito gli effetti sperati (sia in termini di risultati concreti che di sostegno da parte della popolazione locale), un barlume di speranza può arrivare da Jurm, nella provincia di Badakhshan. Dove è stata sperimentata una diversa strategia: quella di rinunciare all’intermediazione del governo centrale e degli imprenditori privati e di lasciare che le piccole comunità si autogestiscano sia dal punto di vista politico-decisionale che da quello economico-imprenditoriale.
L’esperimento, avviato nel 2003 su iniziativa di un ministro afghano e conosciuto come “National Solidarity Program”, è riuscito a produrre nell’area piccoli, ma importanti cambiamenti, offrendo un modello alternativo in un Paese dove la corruzione del personale amministrativo e l’insorgere dei talebani hanno bloccato lo sviluppo su larga scala del territorio, soprattutto dal punto di vista delle infrastrutture.
Il progetto si basa su un’idea molto semplice: quella di puntare sul coinvolgimento della popolazione locale, che ha scelto i propri rappresentanti eleggendo direttamente i consigli dei villaggi, a cui il governo di Kabul – aiutato dai donatori stranieri – ha affidato direttamente piccoli sussidi da non più di 100 mila dollari. Risorse preziose con cui costruire impianti idrici, strade e scuole.
Prima di allora, la valle di Jurm non aveva elettricità, né acqua potabile, vantava una delle mortalità per maternità più alte del pianeta (con una donna su dieci che non sopravviveva al parto) e si sostentava solo con la coltivazione di papaveri. Oggi, molte famiglie hanno un rubinetto in casa, nei campi cresce il grano e andare dal medico non è più considerato infamante per una donna.
Il merito è in gran parte della popolazione, che ha costruito personalmente le tubature (con l’aiuto di un ingegnere), spendendo un terzo di quanto un imprenditore con copertura politica aveva chiesto per lo stesso lavoro. L’esempio è emblematico: tagliando gli intermediari, sono stati abbattuti i costi e gli sprechi di denaro ed è aumentata l’efficienza dei cantieri. Passo dopo passo, nell’area è stata costruita anche una scuola femminile.
Inizialmente gli abitanti erano del tutto contrari a una tale apertura, ma una lunga opera di convincimento (al contrario di quanto sarebbe successo nel caso di un’imposizione forzata dall’alto) ha, alla fine, dato i suoi frutti. Finché tutta la comunità non è stata d’accordo, nulla è stato fatto, perché – come sottolinea Sabrina Tavernise nel suo articolo sul New York Times – «se le persone non sono pronte, la scuola o la clinica, anche se costruita, non verrà comunque mai usata. Se un progetto non ha il supporto di tutta la comunità è destinato a fallire».
Cinque anni dopo, nella provincia di Badakhshan, la scolarizzazione delle ragazze ha visto un incremento del 65 per cento rispetto ai dati del 2004. E il numero delle ostetriche è quadruplicato. Anche la salute pubblica è notevolmente migliorata, ora che 3.270 famiglie hanno avuto accesso all’acqua potabile. E i rarissimi casi di corruzione, sono stati scoperti e puniti dai consigli, perché andavano contro l’interesse della comunità.
Parallelamente, cominciano a diffondersi nella provincia tv e linee telefoniche, che contribuiscono ad accelerare un processo di modernizzazione rimandato per troppo tempo. Mentre il relativo benessere raggiunto, disincentiva la gente a combattere e la rende meno sensibile al richiamo dei Talebani.
Visto il successo, la strategia è stata adottata in migliaia di altri villaggi in tutto il Paese. E comincia ad essere studiata come uno dei possibili strumenti per la pacificazione di un’area ormai stremata da anni di conflitti.