Afghanistan. Usa e talebani a Doha ma il negoziato non parte

KABUL, AFGHANISTAN  – Una forte irritazione del presidente afghano Hamid Karzai e un’eccessiva spregiudicatezza dei talebani nell’inaugurare il loro ufficio politico nel Qatar hanno avuto come risultato l’annullamento giovedi quelli che dovevano essere i primi storici colloqui diretti fra una delegazione americana e un’altra dei seguaci del Mullah Omar, che sono stati invece rinviati a data da destinarsi.

Dopo le ottimistiche dichiarazioni della vigilia il clima a Doha è di estrema discrezione, e nessuno dei portavoce delle parti implicate negli annunciati colloqui ha voluto pronunciarsi sulle ragioni del rinvio dell’appuntamento. Non e’ un segreto pero’ che il promotore di questo, probabilmente temporaneo, stallo sia il capo dello stato afghano, che vedendo il clamore provocato dall’annuncio dei contatti ufficiali e diretti del governo americano con i talebani ha capito che questo poteva significare una sua delegittimazione.

Tanto piu’ che, a differenza di quanto apparentemente concordato nella fase preparatoria con il governo del Qatar, gli insorti avevano voluto sfoggiare nel loro ufficio targhe e bandiere dell’Emirato islamico dell’Afghanistan, il nome che il Paese aveva assunto quando loro gestirono il potere fra il 1996 ed il 2001. Karzai ha immediatamente intuito che quei simboli stavano trasformando quello che doveva essere un semplice ufficio politico di rappresentanza di un movimento belligerante per discutere le possibili vie verso la pace in una vera e propria ambasciata di un altro Afghanistan parallelo.

L’annuncio di Karzai della sospensione dei colloqui bilaterali afghano-americani sull’Accordo strategico decennale da attuare dopo il ritiro delle truppe straniere nel 2014, e due sue roventi telefonate con il segretario di Stato americano John Kerry, hanno avuto il potere di bloccare un processo che sembrava irreversibile, impedendo l’atteso contatto fra le parti. Di malavoglia i talebani hanno rimosso i contestati simboli dell’Emirato, ma si sono rinchiusi in un significativo silenzio che non lascia trasparire nulla di buono, almeno a breve termine.

Da parte sua la portavoce del Dipartimento di Stato Usa, Jem Psaki, ha elegantemente sdrammatizzato l’accaduto sostenendo che di fatto ”l’incontro non era mai stato annunciato ufficialmente” mentre da Bruxelles il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, si e’ augurato che l’apertura dei negoziati di pace in Afghanistan avvenga il piu’ ”presto possibile”. ”Penso che i colloqui di pace possano contribuire a rafforzare la sicurezza e l’unita’ dell’Afghanistan”, ha proseguito Rasmussen aggiungendo che ”la riconciliazione non e’ mai un processo facile in nessuna parte del mondo” e che deve essere condotto dagli afghani e solo da loro.

Fatto sta che quello che sembrava una spinta prorompente verso una soluzione politica del conflitto che dura in Afghanistan da quasi 12 anni, e’ rimasto invece ai blocchi di partenza, mostrando tutte le criticita’ che esso implica. E non e’ di grande conforto che il portavoce dei talebani nel Qaatar, Sohail Shaheen, in una intervista ad una agenzia di stampa americana abbia dimostrato disponibilita’ per uno scambio tra il sergente americano Bowe Bergdahl, sequestrato nel 2009, e cinque dei loro uomini nel carcere di Guantanamo.

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lgermini