Il 20 gennaio 2009 Barack Hussein Obama diventava il quarantaquattresimo presidente degli Stati Uniti. Ad un anno di distanza è tempo di bilanci per l’uomo che voleva cambiare il mondo.
Per il momento tra i cittadini americani regna la disillusione: è vero infatti che Obama ha fatto registrare nei sondaggi il calo di consensi più sensibile della storia recente degli Stati Uniti. Il suo slogan “Yes, we can” è stata la punta di un iceberg fatto di promesse e sfide, alcune già mancate, altre ancora in corso.
Obama si è già scusato: «Non tutte le promesse fatte lo scorso anno sono state mantenute». Ed è vero. La disoccupazione è cresciuta fino al dieci per cento, in Afghanistan il numero dei soldati ha superato quota centomila e la riforma sanitaria, possibile pietra miliare del percorso di Barack, rischia di arenarsi.
Riforma sanitaria, l’impresa più grande è a un passo. Il Senato deve dare il via libera. L’ultimo pericolo arriva dal Massachussets: se il repubblicano Scott Brown prenderà il seggio del Senato che fu di Edward Kennedy, i democratici perderebbero il quorum di 60 seggi necessario per scongiurare l’ostruzionismo da parte dell’opposizione.
Afghanistan e terrorismo. Poche differenze col predecessore George W. Bush. Lo slogan è diverso, ma i metodi no. Ingenti rinforzi, droni e Cia le armi per debellare il terrorismo. La sicurezza interna, inoltre, è stata nuovamente minacciata risultando impreparata di fronte all’attentato fallito a Natale nel volo Amsterdam-Detroit.
Iran e Russia. Tempo di sanzioni per Teheran, rischio empasse. Se Russia ed Unione Europea sembrano essere sulle stesse posizioni di Obama, la Cina si oppone. La posizione comune sull’Iran ha dato una nuova linfa ai rapporti col Cremlino, manca però ancora l’intesa sul nuovo patto Start.
Clima. Il passo avanti rispetto al protocollo di Kyoto, che prevedeva impegni solo per l’Occidente, c’è stato. Ma l’accordo raggiunto a Copenhagen con India, Russia e Brasile sembra essere troppo vago.
Il terremoto di Haiti. Gli Stati Uniti si sono mossi e con tempismo: dodicimila soldati inviati per la più grande missione umanitaria intrapresa dagli Usa. Obama ha l’occasione di legittimare il premio Nobel per la pace e non può sbagliare.