Petrolio, gas e “mediatori”: gli elementi che fanno forte la Russia. Perché, anche se a volte le diplomazie internazionali sembrano dimenticarsene, quella che fu l’Unione delle Repubbliche sovietiche ha nelle mani le due carte vincenti della geopolitica del ventunesimo secolo. Dell’oro nero la Federazione è il primo produttore mondiale, con dieci milioni di barili al giorno. Più della più nota Arabia Saudita. Quanto al gas, viene subito dopo gli Stati Uniti, con un quarto delle riserve del pianeta.
Questo bel quadro di risorse energetiche non poteva non far gola all’Italia. I cablogrammi diffusi da Wikileaks lo confermano: in uno dei documenti del 2008 dell’allora ambasciatore americano a Roma Ronald Spogli è scritto che “Putin ha promesso a Berlusconi una percentuale sui profitti da ogni gasdotto sviluppato da Gazprom insieme con l’Eni”.
Un’affermazione che, sottolinea il Corriere della Sera, fa il paio con quelle inviate da Mosca il 24 novembre dello stesso anno dall’omologo di Spogli in Russia, John Beyrle. L’ambasciatore a Mosca descriveva come “opaco” il business della vendita del petrolio russo all’estero. E a proposito Beyrle cita la Gunvor, società svizzera di proprietà di Gennady Timchenko, forse collega dell’attuale premier russo ai tempi del Kgb. E della società si dice sia “una delle fonti della ricchezza nascosta di Putin”.
Sulla Gunvor fonti americane dicono che guadagni un dollaro per ogni barile dio petrolio venduto, contro un margine da 5 a 20 centesimi ottenuto da un trader normale. Un bel “friso”, come si dice in gergo, ottenuto, scrive sempre il Corriere della Sera, “grazie ai suoi buoni rapporti” con la Russia.
Se questa è la situazione per quanto riguarda il commercio del petrolio, le cose non cambiano molto nel campo del gas. Un cablogramma del 30 ottobre 2008 dell’ambasciata ucraina ricorda che Gazprom, invece di vendere il metano direttamente a Kiev, lo cede a un intermediario, RosUkrEnergo, una società al 50% tra Gazprom e due oligarchi ucraini (Dmitri Firtash e Ivan Fursin): a sua volta, RosUkrEnergo lo rivende a Kiev.
Un altro caso “opaco” è quello di Centrex, società austriaca creata da Gazprom, nella quale aveva una partecipazione l’italiano Bruno Mentasti, imprenditore socio di Berlusconi ai tempi di Telepiù. Nel 2005 era previsto un meccanismo di cessione del gas in Italia, secondo il quale la Centrex avrebbe dovuto ricevere tre miliardi di metri cubi di gas russo dall’Eni di Vittorio Mincato per rivenderli in Europa. Ovviamente guadagnandoci.
L’opacità del caso si mostra però quando si guarda alla proprietà di Centrex. Sulla carta l’azienda risultava controllata dal Centrex Group di Cipro, a sua volta controllato da un trust del Lichtenstein, la Idf. I beneficiari della holding Idf, liquidata nel marzo 2010, sono sconosciuti, e sconosciuta è pure la loro nazionalità.
Soltanto nel 2009 è emerso che già tre anni prima l’80 per cento della Idf era stato venduto ad una banca moscovita, la Russiche Kommerzial Bank. Proprietario di quest’istituto è Gazprombank, di cui però Gazprom è solo socio di minoranza. Alla testa della nuova Centrex è oggi Massimo Nicolazzi, ex Eni ed ex Lukoil, che assicura di non vendere gas all’Italia.
E al momento, oltre all’Eni, a trattare sul gas russo in Italia risultano solo la Premium Gas (joint venture tra Gazprom Germania e la lombarda A2A da un lato e dall’altro Iren) e Promgas, nata ai tempi del premier russo Viktor Chernomyrdin, che gira il proprio metano lo gira alla franco-italiana Edison. Gli azionisti di Promgas? Ancora una volta Eni e Gazprom.
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