Bielorussia, la protesta è virtuale, ma gli arresti reali

Aleksandr Lukashenko

MOSCA, 7 LUG – La protesta corre via internet anche in Bielorussia, dove l’autocrate presidente Aleksandr Lukashenko si vede costretto a far arrestare centinaia di oppositori, che si limitano ad applaudire nelle strade senza aprire bocca, per tenere in piedi il suo ormai anacronistico e sempre più fragile regime di stile sovietico, colpito da una crisi socio-economica senza precedenti.

Dopo l’ondata di arresti, anche eccellenti, seguiti alla sua quarta rielezione consecutiva in dicembre, bocciata dagli osservatori occidentali, il leader bielorusso continua ad usare il pugno di ferro anche contro la silenziosa minaccia della rete, risultata spesso fatale nelle rivolte arabe.

Dal 15 giugno, giorno d’inizio della ”rivoluzione tramite la rete sociale”, come è stata battezzata dai suoi promotori, il numero dei fermi oscilla da 400 ad oltre 1.700, a seconda delle fonti. Nella lista figura anche una ventina di giornalisti, in gran parte russi, con immediata reazione preoccupata da parte di Mosca.

L’ultima retata risale a domenica, quando a Minsk e in numerose città del Paese si è tenuta la sesta azione di protesta organizzata on line, soprattutto tra i giovani, i più insofferenti ad un regime che sembra negare loro un futuro. I manifestanti sono condannati da due a 15 giorni di prigione o a 140 euro di multa, quasi una mensilità di lavoro.

Anche oggi Lukashenko ha ripetuto il solito refrain contro quelli che considera ”nemici del popolo”, come in epoca sovietica: ”Le persone che scendono in piazza sono pagate dall’ opposizione, che a sua volta è finanziata dall’Occidente”. Insomma, la solita teoria del complotto esterno.

Ma l’ultimo dittatore d’Europa, come lo aveva definito l’amministrazione Bush, sa benissimo che il vento della protesta nasce dalla crisi economica e preferisce stroncarlo prima che diventi tempesta.

Vladimir Neklaiev, 65 anni, uno dei pochi oppositori a piede libero dopo la repressione poliziesca di dicembre, già prevede un autunno caldo: ”Se non ci sarà un miracolo e i soldi non arriveranno, ci sarà un’esplosione sociale. Il denaro che la gente ha accumulato finirà tra ottobre e novembre”.

Per assicurarsi la rielezione, con oltre l’80% dei consenti, Lukashenko non ha lesinato sulle spese sociali inaridendo le riserve valutarie. Minsk è stata costretta a svalutare il rublo del 36% aumentando però l’inflazione e quindi i prezzi delle bollette, dei trasporti pubblici, dei servizi comunali, degli alimenti.

Ora il suo destino sembra appeso ai prestiti russi (3 miliardi di dollari in tre anni) in cambio della vendita di aziende statali chiave, e ai crediti del Fondo monetario internazionale (altri 3 miliardi di dollari), congelati per ora su pressione degli Usa e di altri Paesi occidentali a causa della repressione dell’opposizione.

La crisi, sottolinea l’attivista e politico bielorusso Andrei Sannikov, questa volta ha colpito la classe media, la gente più attiva, gli imprenditori, le piccole e medie aziende. ”Nessuno ora vuole vivere in povertà”, dice, prevedendo a breve il crollo del regime di Lukashenko. Per evitare che la protesta monti, aggiunge, occorrerebbero le riforme economiche, impossibili però senza quelle politiche, che farebbero perdere potere al presidente.

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Maria Elena Perrero