
ROMA – Al ventesimo tentativo di elezione di due giudici della Corte Costituzionale, il più votato è il presidente del Senato Pietro Grasso, ben 44 voti che non servono a nulla se non a giustificare un santino colorato formato carta da gioco dove un campesino argentino che si chiama “el gaucho Grasso” sullo sfondo di una pampas invita i suoi sostenitori: “Amigos! Oggi non votate per me! Esto in ferie!!!!”.
Il presidente del Senato, in effetti, è da mercoledì in visita di Stato in Argentina e c’è stato chi, dalle parti della Lega, ha ritenuto opportuno ricordarlo durante l’ennesima, ormai estraniante, votazione per eleggere i due giudici mancanti per completare la Corte Costituzionale. E l’ottavo membro laico del Consiglio Superiore della Magistratura.
Il santino di Grasso, mai stato candidato alla Corte, fa così la sua seconda apparizione in Parlamento (la prima era stata mercoledì mattina per la diciottesima e poi per la diciannovesima inutile votazione) e dà la misura di quanto sia impazzita la maionese parlamentare.
Dal 12 di luglio non si riesce a dare integrità ad un organismo costituzionale come la corte che occupa il palazzo della Consulta (che lavora lo stesso pur con 13 giudici).
Ci sono voluti quasi due mesi per rendere operativo il nuovo Consiglio superiore della magistratura, l’altro delicato organo costituzionale incappato nell’incapacità del Parlamento di fare il suo dovere. Dovere ancora non completato visto che è riuscito ad eleggere un membro laico, la giurista napoletana Teresa Bene in quota Pd, sprovvista però di titoli e rimasta in carica quattro giorni.
Venti fumate nere hanno effetti dirompenti. La ventesima votazione ha appena raggiunto il numero legale (538 votanti su 945 aventi diritto). Grasso, come detto, il più votato con 44 voti. Gli altri briciole, sfottò e la netta maggioranza di schede bianche.
A parte i santini elettorali, vale la pena ricordare la moria di matite utilizzate nelle quattro urne-catafalco montate in aula per la chiama: ne sono state trovate a decine spezzate o spuntate. Oppure la lunghe soste, a volte anche cinque minuti, che i parlamentari Cinque stelle hanno impiegato nel segreto dell’urna per scrivere tre nomi sulla scheda. Operazione che pretende al massimo un minuto.
Si chiama ostruzionismo. Arte antica e a tratti nobile, una volta, ora ridotta a scherzi puerili che sviliscono e umiliano il Parlamento. E lo paralizzano: ogni votazione, a camere riunite, porta via dalle quattro alle sei ore. Come siamo arrivati fin qui? E come e quando se ne esce?
La paralisi è politica. I due giudici mancanti devono essere di nomina parlamentare e necessitano obbligatoriamente di 570 voti, quorum altissimo pensato per un Parlamento “normale” in grado di fare e rispettare i patti e non un’assemblea con tre teste (centrosinistra, Forza Italia, Cinque stelle) dove una (M5S) non collabora.
Il premier Matteo Renzi non se n’è mai occupato, ha delegato tutto ai capigruppo e al vice Guerini che però, al momento, hanno solo un piano: Luciano Violante.
Nome alto e di prestigio, ex magistrato, ex presidente della Commissione antimafia, ex presidente della Camera e proprio per questo dalla storia fortemente divisiva: gradito a Giorgio Napolitano e al vecchio Pci-Pds-Ds-Pd, certo non riscalda i giovani renziani e mette di traverso una bella fetta di Forza Italia, quella antitoghe. “Ma Violante non si tocca e resta ancora lui il nostro candidato” sillabava alla fine dell’ennesimo nero scrutinio una fonte Pd di osservanza renziana.
Forza Italia ha già bruciato tre candidati: Catricalà, Bruno, persino l’avvocato di Stato Francesco Ignazio Caramazza.
Da una settimana è senza candidato e non vota neppure Violante. Gira la candidatura di Francesco Paolo Sisto, gradito a Verdini ma anche alla base.
Il nome dell’ottavo membro laico del Csm è ancora nella mente degli angeli. Ma Berlusconi è troppo impegnato tra Luxuria, coppie gay e l’amico Vladimiro (Putin) per occuparsi di Corte Costituzionale. Lo farebbe solo se potesse mettere lì l’amico-avvocato-senatore Niccolò Ghedini. Eventualità che fa sollevare muraglie di no nelle file del Pd.
La paralisi politica fotografa la realtà di un Parlamento che non risponde più a nessuno perché in evidente crisi di identità politica. E partitica. Questo vale soprattutto per il centrodestra dove Berlusconi sembra totalmente disinteressato a un partito che non lo affascina più, o forse non gli serve più, ma al tempo stesso è impegnato a saldare i conti con il “traditore” Angelino Alfano.
Mentre il Cavaliere (ex) e l’ex delfino si combattono con operazioni “Torna a casa Lassie” avversata dalla uguale e contraria “Rintintin”, Raffaele Fitto pungola per il ricambio e il rinnovamento. Su tutti governa Verdini, detto il “viceministro”, indigesto a molti dei suoi.
Un delirio. Che riduce il Parlamento a dover votare una fiducia dietro l’altra. Perché poi alla fine la cosa che teme di più è il voto anticipato visto che la maggior parte di questa classe parlamentare non sarà mai ricandidata. Figuriamoci se è in grado di eleggere i giudici della Consulta.
Alla fine la soluzione potrebbe arrivare ancora una volta, una volta di più, dal Presidente della Repubblica. Il 9 novembre lasceranno la Corte Costituzionale altri due giudici, il presidente Giuseppe Tesauro e Sabino Cassese. Napolitano ha già fatto sapere che “sarà puntuale nelle due nomine di sua competenza”. Da ieri corre voce che potrebbe anche “annunciare prima la sua scelta”.
Un modo per invitare il Parlamento a calibrare una volta per tutte la sua. Un piano B che potrebbe aprire le porte ai professori di area politica: Augusto Barbera per il Pd; Giovanni Guzzetta per Forza Italia.