ROMA – Il gas libico non arriva più in Italia, ma lo stop delle forniture non porterà per il momento particolari problemi, perché le alternative ci sono e non sarà necessario utilizzare le riserve per rispondere alla domanda di metano di famiglie e aziende.
L’Eni ha resistito un paio di giorni ma poi, come altri colossi petroliferi, alla fine ha gettato la spugna e ha deciso di sospendere temporaneamente e in via precauzionale alcune attività di produzione petrolifera e di gas naturale in Libia, mettendo in sicurezza gli impianti.
I rubinetti del Greenstream, il gasdotto che da Mellitah, sulla cosa libica, passando sotto il mar Mediterraneo, arriva fino a Gela, in Sicilia, sono stati quindi chiusi e la maggior parte del personale presente nel paese nordafricano è stata rimpatriata. Per il momento, e ovviamente non è possibile sapere per quanto tempo, l’Italia dovrà dunque fare a meno di una fornitura che copre il 10% del fabbisogno nazionale di gas, ma le alternative, assicura la stessa Eni, non mancano e vanno dalla Russia all’Algeria, fino alla Norvegia.
Un’abbondanza di gas che, ha rilevato il Cane a sei zampe, non obbliga nemmeno all’utilizzo delle riserve, almeno per il momento, e che porta a smentire ”categoricamente” una riduzione del flusso ai clienti, di cui aveva parlato Edison nel pomeriggio. Anche il governo getta acqua sul fuoco: ”Il sistema paese – ha assicurato il ministro dello Sviluppo economico, Paolo Romani – non è a rischio. Non c’è alcun problema per l’Italia”.
Secondo il ministro, infatti, ”abbiamo riserve che ci permettono di affrontare con tranquillità la situazione. Inoltre, gli altri gasdotti che servono l’Italia stanno funzionando all’80% della loro capacità, alzeremo la loro portata”. Le preoccupazioni relative all’Algeria, altro Paese che potrebbe essere coinvolto nel domino delle proteste, attualmente non sussistono: ”Al momento non c’è alcun tipo di problema”, ha sottolineato il ministro. I consumi per il medio-lungo periodo, insomma, ”sono assicurati”.
Nonostante le rassicurazioni, il ministero intende comunque tenere sotto controllo la situazione: per questo è stato convocato per domani il Comitato d’emergenza del gas, a cui partecipano rappresentanti dello stesso ministero, dell’Autorità per l’energia e degli operatori. Ma la Libia non è solo gas, è anche petrolio. L’Italia ne dipende per oltre il 20% del proprio fabbisogno e le riduzioni degli approvvigionamenti, come ha confermato il ministro degli Esteri, Franco Frattini, sono già cominciate.
Anche in questo caso i problemi per ora non ci sono ”perche’ abbiamo altre fonti di approvvigionamento”, tuttavia rischi sono ben presenti sul fronte dei prezzi. Il greggio oggi è volato ai massimi da due anni e mezzo (oltre 94 dollari il Wti americano e 108 dollari il Brent), lasciando prevedere nuovi aumenti della benzina e, in prospettiva, anche delle tariffe di luce e gas, che Althesis (societa’ di ricerca e consulenza che realizza anche l’Irex, l’indice di Borsa delle energie rinnovabili) quantifica in +7,6%, pari a circa 32 euro a famiglia.
Uno scenario che non può che allarmare Confindustria. Se per ora, ha riconosciuto la presidente Emma Marcegaglia, problemi di forniture non ci sono, l’allerta è alta sul fronte dei prezzi: ”Se aumenta di dieci dollari il prezzo del petrolio abbiamo un costo aggiuntivo di tre miliardi di euro”, ha sottolineato. La grande paura, insomma, è quella di rivivere l’estate del 2008, quando il greggio arrivò a quasi 150 dollari. Un pericolo che, ha ammesso l’Agenzia internazionale dell’energia, è effettivamente realistico e da non sottovalutare. Per questo gli Stati Uniti si sono affrettati a chiedere all’Opec un aumento della produzione: aumento che, ha assicurato l’Arabia Saudita, ci sarà ”se necessario”.