Ecuador: tra spari e malati nell’ospedale per uccidere Correa

Rafael Correa

Nelle caotiche ore susseguitesi ieri 30 settembre nell’ospedale della polizia di Quito, tra spari, gas lacrimogeni, vetri infranti e porte abbattute, infermiere e puerpere terrorizzate, non è nemmeno mancato il momento in cui uno degli insorti, un ufficiale di polizia, mentre irrompevano nell’edificio le forze fedeli al presidente, si è messo a urlare: ”Andiamo a uccidere Correa”.

Alcuni compagni lo hanno seguito: ma si sono sbagliati di corridoio e sono finiti a ridosso dei militari. Lo ha raccontato oggi uno dei tanti giornalisti che, ieri, chi dentro e chi fuori dell’ospedale, sono stati testimoni di una drammatica cronaca, seguita in diretta tv in tutto il mondo.

Ma se le telecamere hanno ripreso solo l’esterno, l’attacco delle forze d’elite della polizia e dell’esercito, tra crepitio di pallottole, gas lacrimogeni e bengala, all’interno della clinica sono state ore di tensione e terrore. Con il presidente Rafael Correa rinchiuso nella stanza 326 del terzo piano, attigua ai reparti ginecologia, con donne che avevano appena partorito, e pediatria con sei bambini. Ed è lì che tentano di arrivare, per portarlo in salvo, i 40 uomini del Goe, il gruppo delle operazioni speciali della polizia, passando dal secondo piano, dove gli insubordinati paiono pronti a far ala a Correa, per dileggiarlo mentre se ne va. Ma il presidente non arriva. Si comincia invece a sparare. Raffiche di mitra. Gas. Urla di terrore di ammalati.

Medici, infermiere e giornalisti a terra. È panico dappertutto. Mentre fuori dell’ospedale arrivano anche i commandos dell’esercito che devono vedersela a spari con i cecchini degli insubordinati, al secondo piano, Jaime Sanchez, l’assistente personale di Correa urla agli uomini del Goe: ”Dov’è il presidente?”. Loro lo cercano.

Abbattendo porte mentre le infermiere gridano “Ci sono bambini”. Si sentono urla di ”Non sparate, non sparate”. Molti insorti fuggono. Finalmente, nel reparto dei neonati, appare Correa. Protetto dagli agenti del Goe. In una sedia a rotelle (a una settimana dalla terza operazione al ginocchio) e con maschera antigas. Gli spari si intensificano. Dentro e fuori. Correa viene portato nella sala di terapia intensiva. Poi, attraverso le scale d’emergenza, viene fatto scendere fino al piano terra e sale su un fuoristrada, contro cui sparano i cecchini. In strada l’incubo e’ finito. Dieci minuti dopo, dalla terrazza del Palazzo Carandolet, la sede del governo, Correa tuona per quasi un’ora, concludendo con un roboante “Hasta la victoria, siempre”, davanti a migliaia di suoi simpatizzanti.

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Lorenzo Briotti