IL CAIRO, 21 NOV – Il primo ministro egiziano, Essam Sharaf, e il suo governo hanno presentato le dimissioni, rimettendo il proprio mandato a disposizione del Consiglio Supremo delle Forze Armate. Ne dà notizia la tv satellitare Al Jazira.
Secondo quanto scrivono il sito web del quotidiano Al Wafd e altri siti minori, i militari egiziani hanno accettato le dimissioni di Essam Sharaf e del suo governo.
Sharaf aveva già presentato le dimissioni del suo governo ai militari il 10 settembre scorso, dopo l’assalto all’ambasciata israeliana del Cairo, invasa e demolita da manifestanti, che il servizio d’ordine non era riuscito a bloccare. Il Consiglio Supremo delle Forze Armate in quella occasione aveva respinto le dimissioni.
Tutto sommato una giornata con pochi scontri, quella di oggi, tra manifestanti e forze di polizia in una piazza Tahrir che ha ripreso l’aspetto dei giorni seguiti al 25 gennaio, quando sbocciò la rivoluzione del giovani che portò alla caduta del regime Mubarak. Centinaia di migliaia di persone, se non un milione, sono assiepate in modo inverosimile stasera, dopo che nel pomeriggio si era temuto il peggio per l’approssimarsi dei carri armati destinati – è stato poi chiarito – solo a proteggere il ministero dell’interno. Si erano subito alzate barricate metalliche nelle strade interessate ed erano stati incendiati copertoni, in falò spenti poco dopo.
”E’ la seconda rivoluzione”, dice una parola d’ordine raccolta sui blog in Internet, ”dopo il tentativo di militari e governo di far fallire la prima”. Di questo fallimento verso la democratizzazione del paese ed il rispetto dei diritti umani i militari sono stati accusati anche in un rapporto diffuso oggi da Amnesty International. E la denuncia non sembra infondata, specie dopo la proposta nei giorni scorsi del viceprimo ministro, Ali Selmi, per una modifica alla costituzione che aveva irritato tutte le forze politiche, specie i Fratelli Musulmani, candidati a raccogliere ampi consensi nelle elezioni legislative in calendario dal 28 novembre. La proposta, che prevede di dare una speciale immunità ai militari e di sottrarre i loro bilanci ai controlli del parlamento, aveva provocato il grande raduno di venerdì scorso, il venerdì ”per la protezione della democrazia”, come al solito nell’arcinota piazza Tahrir. Gli sviluppi drammatici di sabato e domenica, con scontri sanguinosi a base di lanci di pietre da una parte, con risposte di lacrimogeni e proiettili di gomma, ma anche proiettili veri, da parte della polizia, affiancata ieri anche da polizia militare, non hanno avuto ulteriori gravi seguiti.
Man mano che le ore passavano si sono susseguite le notizie di bilanci di vittime di sabato e domenica progressivamente più alti. Dalla morgue lo stillicidio di informazioni ha portato prima il numero di oltre 40 vittime e poi la richiesta di auto e di bare perché non ce n’erano abbastanza. Canti e balli si sono alternati a momenti di preghiera collettiva, mentre dagli ambienti del potere e da quelli dei manifestanti sono arrivati messaggi opposti. Un generale arrivato in piazza ha dichiarato che è diritto dei manifestanti quello di fare sit-in, purché non sia danneggiata la proprietà pubblica, ed ha rassicurato che i generali non intendono rimanere al potere, ma vogliono cederlo ai civili appena possibile. Considerata insufficiente, questa rassicurazione non è servita a fugare i dubbi innescati dalla proposta di modifica costituzionale che mirava a porre i militari al di sopra della costituzione e dei controlli parlamentari.
”Chiedono di rimanere intoccabili proprio a noi che abbiamo mandato a casa il vecchio regime del militare Mubarak?” chiedeva insistentemente un gruppo di giovani manifestanti vicino alla sede della Lega Araba, sottolineando che comunque i militari hanno le loro responsabilità nelle morti dei ”martiri di piazza Tahrir”. Anche per questo per domani i giovani hanno sollecitato un nuovo maxi raduno, ancora nella ”piazza della rivoluzione”.