Egitto. Suleiman piace all’establishment, non alle folle in rivolta

Omar Suleiman

Si racconta che Omar Suleiman, l’uomo scelto dal presidente egiziano Hosni Mubarak come suo vice mentre l’Egitto è in fiamme, sia diventato un favorito del rais avendogli salvato la vita nel 1995 insistendo che questi usasse un mezzo blindato durante la sua visita in Etiopia. Un terrorista aprì il fuoco contro il veicolo ma Mubarak rimase illeso.

Ma questa volta Suleiman potrebbe non riuscire a salvare il presidente.

Mubarak, mentre aumenta il numero dei morti nelle strade, ha scelto Suleiman come successore essendo questi un amico di vecchia data, ascoltato consigliere e in ottimi rapporti con gli Stati Uniti: per anni capo dei servizi segreti egiziani e principale negoziatore con i palestinesi,

”Il presidente ha scelto un uomo di cui si può fidare mentre si trova su un terreno pericolante”, ha dichiarato al New York Times Mahmoud Shokry, ex-ambasciatore in Siria e intimo amico di Suleiman, ”ma è ovvio che Mubarak non ha idea di quel che potrebbe accadere domani”.

Il problema è che Suleiman, 74 anni come Mubarak, ex-generale, è il candidato dell’establishment ma certo non del pubblico e tanto meno delle centinaia di migliaia di dimostranti che stanno mettendo l’Egitto a ferro e fuoco. Se dovesse diventare presidente, la sua ascesa non rappresenterebbe il cambiamento democratico voluto dagli egiziani, ma molto probabilmente il proseguimento di quella leadership autoritaria e sostenuta dai militari che Mubarak ha imposto per 30 anni.

”Credo che fondamentalmente sarebbe la strada per la creazione di un regime guidato dai militari in un così chiamato contesto costituzionale”, dice Ragui Assaad, docente all’Università del Minnesota. ”La scelta di Suleiman è chiaramente il risultato di negoziati con i militari”. Ma se diventasse presidente potrebbe attizzare la rabbia popolare, e difatti i dimostranti hanno già cominciato a protestare contro di lui. Sarebbe invece bene accolto da quelli che profittano dello status quo.

Suleiman vede il mondo come Mubarak, profondamente diffidente dell’Iran, favorevole a stretti legami con Washington, incline alla pace fredda con Israele e contrario alla Fratellanza Musulmana, la principale forza di opposizione in Egitto. Ha gestito i più scottanti problemi del Paese, inclusi i rapporti con Hamas, gli Hezbollah e il Sudan.

Con la scelta di Suleiman, rilevano gli esperti, è chiaro che Mubarak vuole ingraziarsi la sua più importante ”circoscrizione elettorale”, forse l’unica che può garantire la sua sicurezza e un abbandono indolore del potere: i militari. Ma l’orientamento finale che questi ultimi assumeranno è incerto. Contrariamente alla brutalità della polizia verso i dimostranti, essi si sono ben guardati dall’esserlo altrettanto. Non hanno eseguito gli ordini di Mubarak di sparare contro i dimostranti, e in alcuni casi sono stati visti fraternizzare con loro.

Il rais ha nominato Suleiman vice-presidente lo stesso giorno in cui ha anche nominato nuovo primo ministro Ahmed Shafiq, un ex-comandante dell’aviazione militare. Queste nomine indicano che sono parte di una strategia diretta a consentire ai militari di consolidare il loro controllo del governo.

”Quello che ora ci preoccupa”, ha detto in proposito Emad Shahin, ex-docente all’American University del Cairo e ora all’Università Notre Dame, nell’Indiana, ” è che stiamo assistendo ad una presa di potere dei militari. Non mi sorprenderebbe se Mubarak sparisse domani, o il giorno dopo”.

Anche coloro che stimano Suleiman avvertono che la sua nomina in questa fase, con in atto una sanguinosa rivolta senza precedenti, lo pone in una posizione poco invidiabile. ”Se fosse stato nominato prima sarebbe stata una buona cosa”, rileva il suo amico Shokry, ”ma ora nessuno sa cosa gli verrà chiesto di fare o quale ruolo rivestirà. Verrà solo considerato parte di un regime che sta traballando”.

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lgermini