Egitto. Per le riforme gli Usa puntano su Suleiman, il male minore

Il vice-presidente egiziano Omar Suleiman

Il vice-presidente egiziano Omar Suleiman sostiene che non è questo il momento di abolire le leggi di emergenza che per 30 anni sono servite a reprimere ed imprigionare i leader dell’opposizione. Non crede che il presidente Hosni Mubarak debba dimettersi prima della fine del suo mandato a settembre. E non pensa che il suo Paese sia pronto per la democrazia.

Ma, in mancanza di meglio – rileva il New York Times – gli Stati Uniti lo appoggiano con forza affinchè guidi il processo di transizione in Egitto. Nel far ciò, Washington si affida al governo esistente perchè attui cambiamenti che ha risolutamente respinto per anni e che anche adesso non sembra impaziente di effettuare.

Dopo due settimane in cui gli Stati Uniti hanno cercato di tenersi aggiornati su una situazione in rapido cambiamento, l’amministrazione di Barack Obama sta ancora cercando di bilanciare l’appoggio per le più basilari aspirazioni al cambiamento in Egitto con la sua preoccupazione che il movimento per la democrazia, se i cambiamenti avvenissero troppo in fretta, venga ”espropriato” da forze ostili agli Stati uniti. Il riferimento alla Fratellanza Musulmana, profondamente anti-americana, è evidente.

Il risultato di questo atteggiamento è stato di provocare nelle strade del Cairo e altrove la percezione che gli Stati Uniti, almeno per ora, attribuiscono più importanza alla stabilità che agli ideali democratici, lasciando le speranze di un cambiamento graduale prevalentemente nelle mani dell’establishment, a cominciare da Suleiman che ha tutto l’interesse a rallentarlo.

Ma l’amministrazione Obama si contraddice. Davanti a dichiarazioni rilasciate da Suleiman nei giorni scorsi, la Casa Bianca le ha definite inaccettabili. ”La convinzione che l’Egitto non sia ancora pronto per la democrazia cozza contro quanto abbiamo visto accadere a piazza Tahrir e nelle strade di città in tutto il Paese”, ha dichiarato il portavoce di Obama Robert Gibbs. Ha aggiunto: ”Dichiarazioni come quella non possono certo essere accettate dal popolo egiziano perchè non rispondono alle stesse legittime rimostranze che sono alla base delle proteste”.

D’altra parte, non è chiaro quanta influenza Obama può esercitare su Suleiman, un fedelissimo di Mubarak, perchè si muova verso cambiamenti fondamentali, specialmente ora che le autorità stanno riprendendo il controllo del Paese. Certo, gli Stati Uniti hanno intrattenuto rapporti con Suleiman, 74 anni, per molti anni, specialmente nella sua qualità di capo dei servizi segreti.

Suleiman ha frequentemente assicurato gli americani che il governo Mubarak è determinato a combattere il terrorismo, necessità derivante dal fatto, ha detto nel 2009 al capo degli stati maggiori riuniti americani Mike Mullen, che ”l’Egitto è circondato dal radicalismo”.

Nel 2006 ha informato il capo dell’FBI Robert Mueller che all’interno dell’Egitto la Fratellanza Musulmana rappresenta una seria minaccia, derivante dal pericolo che il gruppo ”possa sfruttare la religione per influenzare e mobilitare la popolazione”.

E il vice-presidente Usa Joe Biden, che conosce bene e da tempo Suleiman, lo sta sollecitando a tracciare in fretta un percorso verso riforme democratiche collegate a precise scadenze temporali. Ciononostante, tra i dimostranti ed i gruppi di opposizione è diffusa la convinzione che gli Stati Uniti non stanno premendo a sufficienza su Suleiman.

Andrew McGregor, del think-tank Jamestown Foundation di Washington e autore di una storia militare dell’Egitto, osserva che messaggi e azioni contrastanti provenienti dall’amministrazione Obama non devono sorprendere. ”Che le prime reazioni degli Stati Uniti sarebbero state confuse era prevedibile”, dice. In fin dei conti, aggiunge, ”l’America ha appoggiato il regime militare egiziano per 30 anni”.

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lgermini