MOSCA – Il partito Russia Unita di Vladimmir Putin ha vinto le elezioni con il 49 per cento dei consensi. Una vittoria risicata e che ha deluso i filo-Cremlino che in pizza a Mosca, visti gli exit-poll, hanno rinunciato ai festeggiamenti. Lo “zar” Putin è in caduta, ha perso i consensi con questa nuova candidatura ed ha guadagnato una maggioranza risicata rispetto alle aspettative. Russia Unita ha la maggioranza assoluta dei seggi (238 su 450) in virtù del meccanismo proporzionale del voto legislativo del 3 dicembre, che prevede la redistribuzione dei consensi raccolti dai partiti che non hanno superato lo sbarramento del 7% (Iabloko, i Patrioti della Russia e Causa Giusta). Il partito comunista invece con il 20 per cento dei voti segna un massimo storico di consensi che non riceveva dalla caduta dell’Urss 20 anni fa. Le manifestazioni non autorizzate che sono ante nelle piazze per contestare Putin hanno portato all’arresto di 260 persone.
Il partito del premier ha una maggioranza risicata di appena 13 voti, ma che sarà sufficiente per governare autonomamente. In precedenza Russia Unita aveva invece i due terzi dei seggi (315 su 450), una maggioranza qualificata anche per eventuali modifiche costituzionali. Modifiche per le quali ora avrà bisogno di alleanze, non così difficili da trovare, soprattutto con i liberaldemocratici, ma anche con Russia Giusta.
Doveva essere la consacrazione di una nuova vittoria del duo Putin-Medvedev, ma il raduno dei filo-Cremlino convocato la sera del 3 dicembre davanti al Bolshoi si è mestamente sciolto dopo l’arrivo dei primi exit-poll. Dal palco allestito di fronte al Bolshoi sormontato da due enormi ritratti di Medvedev (la festa era per lui, il capolista), l’annuncio degli exit poll che doveva essere il clou della serata è arrivata con mezz’ora di ritardo abbondante. Centinaia di bandiere tricolori sventolavano tra musica pop e reggae, ma in piazza grande la sorpresa si è trasformata presto in delusione: “così poco? Colpa dell’enorme campagna contro Russia Unita su Internet”, hanno commentato in molti. Non è passato molto tempo che i capisquadra dei vari gruppi di sostenitori hanno ordinato di svuotare la piazza, avvilita dal deludente risultato.
Sono 260, secondo l’ultimo bilancio aggiornato della polizia, le persone fermate ieri a Mosca per manifestazioni non autorizzate che avevano come obiettivo quello di contestare la legittimita’ del voto legislativo. Lo riferisce l’agenzia Interfax citando fonti delle forze dell’ordine. Altre 65 persone sono state fermate a San Pietroburgo, e 25 a Nizhni Novgorod. In totale, secondo la polizia, si tratta di 350 persone.
Aveva ragione forse Alexiei Navalni, il più popolare blogger russo anti corruzione, quando vaticinava che i recenti fischi a Putin sul ring di uno stadio erano “la fine di un’epoca”. L’ex agente del Kgb Vladimir Putin resta “l’uomo forte” del Paese ma da oggi è uno zar meno forte e dovrà fare i conti con un Paese che sta cambiando: la sua terza corsa al Cremlino parte in salita. Il suo consenso è ancora ampio ma si sta velocemente erodendo, come suggerisce il voto del 3 dicembre. Secondo recenti sondaggi, la sua popolarità fa ancora invidia a qualunque leader occidentale ma è scesa al suo minimo storico: 61%, venti punti in meno di quando concluse nel 2008 il suo secondo mandato di presidente. Dopo quattro anni da premier, ha deciso di tornare al Cremlino, che aveva lasciato al suo fido “prestanome” Dmitri Medvedev per non violare il divieto di due presidenze consecutive.
I due a settembre hanno annunciato l’intenzione di scambiarsi le cariche con un copione che ha fatto storcere il naso non solo ai giovani e alla nascente classe media, ma anche ai simpatizzanti del suo partito, Russia Unita, ridotto a pura macchina elettorale. I timori, in Russia e all’estero, sono quelli di un Putin che potrebbe restare al potere sino al 2024, un quarto di secolo, con uno scenario da stagnazione brezneviana. Il capo del governo si è difeso ricordando i quattro mandati del presidente Usa Theodore Roosevelt e l’esempio del generale de Gaulle, avvertendo che non esiste alternativa. “è sufficiente fare due o tre passi falsi perchè tutto crolli così velocemente che non avremmo neppure il tempo di accorgercene, tutto si tiene ad un filo da noi”, ha ammonito recentemente, vantandosi di aver “chiuso i bulloni” del Paese in questo decennio.
Ma dopo l’annuncio dello “swap”, il suo indice di popolarità è calato, insieme a quello di Medvedev e di Russia Unita. Poi sono arrivati anche i fischi allo stadio durante un incontro di arti marziali, da quel pubblico che di solito lo venera. Lui ha ancora grandi progetti, come l’Unione euroasiatica, ma sembra che il vento stia mutando perchè anche il Paese sta cambiando lentamente pelle.
Il malcontento degli elettori si e’ tinto di rosso, confluendo nel partito comunista, balzato a sorpresa a cavallo del 20%, praticamente raddoppiando i consensi. Erede del “glorioso” Pcus, il Partito comunista dell’Unione Sovietica, che guido’ il Paese dal 1922 al 1991, il Kprf (Partito comunista della Federazione Russa) e’ stato fondato nel 1993 e ha in Ghennadi Ziuganov – in quegli anni uno dei maggiori critici di Boris Yeltsin – il suo leader incontrastato.
Negli anni Novanta il partito occupava un nutrito numero di seggi alla Duma. Ma poi, con l’ascesa di Vladimir Putin, e’ stato via via relegato ai margini della politica, oscurato dal consenso pressoche’ plebiscitario su cui l’attuale premier e il partito Russia Unita hanno potuto contare. Il calo di preferenze per i comunisti, nelle elezioni legislative del 2007, si tradusse in un modesto 11,57%. Mentre l’anno dopo Ziuganov incasso’ una nuova cocente sconfitta alle presidenziali, racimolando il 17,7% dei voti contro il 70% ottenuto da Medvedev.
Eppure, il Kprf e’ rimasto comunque il primo partito dell’ opposizione, fedelmente sostenuto da pensionati, operai, gruppi studenteschi, abitanti delle citta’ industriali. La crisi economica e il crescente scetticismo verso il Cremlino hanno poi diversificato l’elettorato comunista e il risultato di oggi potrebbe essere il frutto del trasferimento di voti dei molti ”disillusi”, anche se Ziuganov nei giorni scorsi aveva sottolineato il profondo rinnovamento in atto nel partito. Intanto il leader, nonostante abbia raddoppiato le preferenze, ha invitato i suoi sostenitori a scendere in piazza contro i brogli elettorali denunciati nei giorni scorsi, mentre gia’ nel settembre scorso aveva annunciato la sua candidatura alle presidenziali di marzo contro ”un gruppo di persone che sta umiliando il Paese”. E oggi, nel giorno in cui il partito di Putin ha probabilmente perso la maggioranza alla Duma, la sfida del Kprf al popolare ”zar” di Russia non sembra solo un anacronistico rigurgito sovietico.