Rischia di diventare una crisi diplomatica la vicenda del mandato d’arresto emesso e poi ritirato da un giudice britannico nei confronti dell’ex ministro degli Esteri e attuale leader dell’opposizione centrista israeliana, Tzipi Livni.
Un provvedimento originato da una denuncia per crimini di guerra presentata da esponenti della comunità locale di origine araba in relazione all’offensiva ‘Piombo Fuso’ dell’inverno scorso, e cui Israele ha reagito oggi a muso duro: chiedendo al governo di Sua Maestà azioni politiche contro «gli abusi giudiziari».
Inizialmente smentito, l’ordine di cattura contro la Livni in realtà è stato in vigore, almeno per qualche ora. Tanto da far saltare all’ultimo momento una sua visita in Gran Bretagna, dietro lo schermo di imprecisate «ragioni di calendario».
Un episodio imbarazzante nei rapporti fra i due Stati – e analogo a quelli schivati negli ultimi mesi anche dal ministro della Difesa in carica, Ehud Barak, e dall’ex capo di stato maggiore e attuale vicepremier Moshe Yaalon – che non poteva restare senza risposta dopo essere divenuto di dominio pubblico. E a cui il ministero degli Esteri israeliano ha in effetti replicato oggi: dapprima con un comunicato dai toni ruvidi e poi addirittura con la convocazione dell’ambasciatore britannico a Tel Aviv, Tom Phillips, e la decisione d’interrompere tutte le visite di rilievo in Gran Bretagna fino a quando Londra non avrà dato seguito concreto alla promessa di garanzie politiche contro azioni legali ritenute vessatorie.
Nel comunicato si rigetta l’iniziativa della magistratura britannica come «un atto cinico e immorale» e si chiede al governo di Gordon Brown di «mettere fine alla commedia degli errori» e «di dar corso, una volta e per sempre, agli impegni presi sulla volontà di prevenire abusi giudiziari» ispirati da «elementi estremisti» e gruppi di pressione arabi: pena «un danno alle relazioni bilaterali, ma anche alle ambizioni di Londra di svolgere un ruolo attivo nel processo di pace in Medio Oriente».
«Noi rifiutiamo – ha rincarato la dose più tardi l’ufficio del primo ministro, Benyamin Netanyahu – di accettare una situazione in cui Ehud Olmert, Ehud Barak o Tzipi Livni (al vertice del governo israeliano all’epoca dell’offensiva ‘Piombo Fuso’ nella Striscia di Gaza, l’inverno scorso) possano essere trascinati in tribuale e non concepiamo che soldati e comandanti che hanno combattuto con coraggio e senso etico un nemico abietto possano essere definiti criminali di guerra. Lo rifiutiamo come un’assurdità».
Il mandato contro la Livni – decaduto solo nel momento in cui si è saputo che la leader di Kadima non si sarebbe fatta più viva sul suolo britannico, secondo quanto ha potuto appurare il ‘Guardian’ – non è del resto un fatto isolato, in un panorama scosso di recente anche dagli attriti legati alla decisione di Londra di distinguere fra le etichette dei prodotti palestinesi della Cisgiordania e quelle delle colonie ebraiche (illegittime per la comunità internazionale). Interpellata sull’accaduto, la stessa Livni ha affermato che le critiche a Israele sono legittime, ma ha difeso le ragioni di ‘Piombo Fuso’ e ha contestato chi «crede di poter equiparare l’esercito israeliano ai terroristi».
Scatenata quasi un anno fa dallo Stato ebraico in risposta ai razzi dei miliziani islamici di Hamas dalla Striscia di Gaza, l’operazione ‘Piombo Fuso’ durò 22 giorni e si concluse il 18 gennaio 2009 con un bilancio di circa 1400 palestinesi uccisi. Un rapporto realizzato di recente per conto dell’Onu da una commissione coordinata dal giudice sudafricano Richard Goldtsone ha avanzato ipotesi di crimini di guerra e contro l’umanità nei riguardi d’Israele, in relazione al conflitto, oltre che nei confronti di Hamas per i lanci di razzi.