AMMAN – Il re di Giordania Abdullah si è piegato alle rivolte di piazza e temendo un effetto domino o probabilmente un contagio delle rivolte tunisine ed egiziane, ha silurato il premier Samir Rafai, rimpiazzandolo con l’ex generale Marouf Bakhit.
A lui tocca il compito più difficile adesso, quello di mettere in atto quelle ”vere riforme” che adesso vuole il sovrano. Le prime reazioni degli islamici non sono state però incoraggianti. ”E’ una notizia che suscita dubbi e disaccordo”, ha affermato a caldo Jamil Abu Baker, portavoce dei Fratelli Musulmani, che in passato ha avuto relazioni tese con Bakhit, mentre il Fronte di azione islamica, principale forza di opposizione, ha detto che Bakhit ”non è un riformatore”.
Bakhit, 64 anni, è stato già alla guida del governo, nel 2005, dopo gli attacchi di Al Qaeda contro tre hotel ad Amman che causarono la morte di oltre 50 persone. Già ambasciatore in Turchia e in Israele, ha condotto una aspra guerra al movimento islamico, arrivando a spedire in galera quattro suoi deputati che avevano espresso apprezzamento per l’allora leader di Al Qaeda in Iraq, il giordano Abu Mussab al Zarqawi.
Dall’opposizione la delusione è totale: Maysara Malas, ha parlato di Bahkit come di un incapace ed è stato pessimista nelle previsioni: ”Questo è solo un cambio di una persona con un’altra. Il solito sistema di nomine. Noi vogliamo un premier che rappresenti una maggioranza parlamentare”.
I dati d’altronde non sono incoraggianti e fotografano un Paese in difficoltà: il 25 per cento della popolazione in Giordania vive nella povertà e la disoccupazione è al 15 per cento, secondo i dati ufficiali, che l’opposizione considera ben al di sotto della realtà. Sulla scia delle manifestazioni delle ultime settimane, Rifai, spinto anche dal re, aveva avviato misure d’urgenza per contenere i prezzi dei generi di prima necessità e quelli dei carburanti.
Bahkit segnerà una nuova era o è solo un “fantoccio” come sostengono alcuni?