Aria di “guerra fredda” nel Golfo Persico tra le due superpotenze Iran e Arabia Saudita: una “guerra silenziosa” che si gioca in un Medio Oriente sempre più sconvolto da cadute di regimi e rivolte dei popoli.
Le rivoluzioni e i sollevamenti popolari che da diversi mesi, a dispetto di ogni previsione, hanno sconvolto lo spazio geo-politico del mondo arabo hanno portato i loro semi anche in quei paesi, apparentemente immutabili, immobili in un secolare ordine, compresi tra il Mar Rosso e il Golfo Persico. Alla differenza del Nord Africa, dove in poche settimane, due dittatori sono stati spazzati via, le evoluzioni democratiche nel Golfo sono state poche e soprattutto effimere.
I regimi della regione, seppure viziati al loro interno dal tarlo delle divisioni e dell’arretratezza politica, sono riusciti ad arginare l’onda del mutamento. Nella maggior parte dei casi, lo hanno fatto con “il bastone e la carota”. Da una parte, le regalie pubbliche e le concessioni. Dall’altra, la repressione violenta.
Un’immagine che forse un giorno farà storia nel capitolo dedicato alle evoluzioni politiche del mondo arabo sono i carri armati sauditi che attraversano il ponte di re Fahd ed entrano nel minuscolo stato del Bahrein. Vi entrano per salvare il regime sunnita alleato, al potere da secoli, che domina e marginalizza una maggioranza sciita, che in quei giorni scende in piazza per reclamare il cambiamento.
Dietro questo “favore” tra dinastie regnanti (che ricorda anche episodi della storia europea come la Spedizione di Spagna del 1823) si cela, come in un gioco di ombre cinesi, una più grande partita, un “great game” arabo che potrebbe, in una imprevedibile escalation, portare un giorno la regione sull’orlo del collasso militare.
Secondo gli analisti, nel Golfo si sta ormai giocando, per pedine interposte, la rivalità tra le due superpotenze. Da una parte l’Iran, repubblica islamica, sciita, di etnia persiana e antioccidentale, dall’altra l’Arabia Saudita, monarchia sunnita, di etnia araba, alleata degli Stati Uniti. La posta in gioco è l’influenza sulla regione, proprio ora che alcuni dei capisaldi geopolitici si stanno pian piano disintegrando.
Per adesso è una sfida, fatta di proclami non detti, di spie, e anche di silenziose minacce. Una guerra fredda, come sembra normale che accada, in queste terre segnate in’apparenza dall’immutabilità dal tempo. Una guerra che secondo alcuni si sta già svolgendo per interposta persone, come accadeva anche nella Guerra del Libano quando l’Iran finanziava le milizie sciite di Hezbollah mentre l’Arabia Saudita quelle sunnite. Quello che è sicuro è che la “guerra” non più solo una minaccia: «La guerra fredda è una realtà – afferma un alto funzionario saudita – L’Iran sta cercando di espandere la sua influenza. L’instabilità dei mesi scorsi ci dice che non possiamo stare a guardare lo svolgersi degli avvenimenti».
Sono numerosi i segni che rivelano la crescente tensione tra l’Iran ed i suoi vicini sunniti. Mentre i carri armati sauditi entravano in Bahrein, un parlamentare iraniano, Ruhollah Hosseinian, incitava la repubblica islamica a prepararsi ad un intervento militare in sostegno della minoranza sciita. Dal canto suo, l’Arabia Saudita non ha fatto mistero di vedere, dietro i sollevamenti in Bahrein, la mano lunga di Teheran. Gli Ayatollah hanno in effetti guardato con grande attenzione agli avvenimenti degli ultimi mesi.
Se in Bahrein il legame, religioso, con i dimostranti era inevitabile, anche in Tunisia ed in Egitto le dimostrazioni sono state accolte con grande favore. Secondo le parole della guida suprema Alì Khamenei: «Questo è lo stesso “risveglio musulmano”, che il risultato della grande rivoluzione della nazione iraniana.»
L’interpretazione di Khamenei è, a detta dei più, erronea, perché le rivoluzioni maghrebine sono nate principalmente da aspirazioni democratiche. Certo è che quei paesi erano un tempo gli alleati, sunniti e moderati, dell’Arabia Saudita, la quale vede ormai con apprensione il nuovo equilibrio, di quella regione dove un tempo regnava incontrastata. Negli ultimi anni sono stati tanti i colpi inferti alla sua influenza.
Prima l’intervento americano in Iraq ha scacciato l’alleato Saddam Hussein per dare una voce politica determinante alla comunità sciita filo-iraniana. Poi, l’ultimo grande regime arabo sunnita, quello di Hosni Mubarak, è crollato nel giro di qualche settimana. Ora i sollevamenti in paesi frontalieri, come lo Yemen e il Bahrein, sembrano rendere la situazione ancora più instabile. Così, nei corridoi dei palazzi di Riyad, ci si prepara al peggio. Quella stessa dinastia saudita che secondo i dispacci svelati da Wikileaks si augurava un intervento americano contro l’Iran, ha da poco approvato la più grande commissione militare della storia recente, firmando un contratto di 60 miliardi di dollari con gli Stati Uniti, per rinforzare l’esercito nazionale.
E’ sempre più chiaro che in Medio Oriente sta nascendo una nuova guerra fredda, o forse un nuovo “great game”, e questa volte l’Occidente starà solo a guardare.