Roma, corteo indignati: la rabbia dei giovani

foto Lapresse

ROMA – Gli “indignati” scendono in piazza a Roma: ma più che le loro rivendicazioni, l’argomento che eccita di più è il “toto-scontri”. Si parla tanto del precedente del 14 dicembre dell’anno scorso, di Genova 2001, del pericolo di una manifestazione “acefala”, senza un partito o un sindacato che se la intesti, dei black bloc o non black bloc, dei duemila che da tutta Italia vengono nella Capitale solo per provocare disordini… In un’eccessiva attenzione alla cronaca con la quale si rischia di perdere di vista il significato di una manifestazione che invece non è priva di risvolti politici. La cui portata non può essere riassunta un rapporto della Digos.

Soprattutto perché si tratta di una marcia mondiale, che coinvolge più di 600 città in oltre 70 Paesi, da da Hong Kong a Buenos Aires, da Boston a Sao Paulo, da Kuala Lumpur a Parigi. Una marcia che ha avuto in Madrid e poi in New York i suoi centri originari. Nella capitale spagnola sono nati gli “Indignados”, avamposti accampati nella piazza di Puerta del Sol di una generazione martoriata dalla disoccupazione. Mentre qualche mese dopo il movimento “Occupy Wall Street” ha voluto portare nella Mecca dei mercati finanziari mondiali il grido di un’America disperata perché senza casa, lavoro e prospettive: l’American Dream trasformatosi in American Nightmare, e non c’è Obama che tenga.

La mappa delle manifestazioni del 15 ottobre in tutto il mondo

“Siamo il 99%”, gridano e scrivono sui cartelli in tutto il mondo: non vogliono pagare il conto di una crisi “provocata da quell’1% di banchieri, speculatori e governanti” dai massimi beneficiari del turbo capitalismo. Non vogliono pagare loro il debito pubblico che strozza tutti gli Stati, chi più chi meno. Non saranno il 99%, ma sicuramente in piazza stanno scendendo in tanti. Si organizzano sul web, ormai non è una novità. Si ritrovano su Twitter digitando gli hasftag (le parole chiave) #15o, #15oct, #globalchange, #worldrevolution, in Italia #occupyrome e #15ottobre.

A Roma sono previsti più di 100.000 manifestanti, 39 linee di autobus deviate, obiettivi “sensibili” blindati e una città piena di forze di polizia. Ma se a fine giornata il corteo sarà stato più pacifico di una convention degli Hare Krishna oppure avrà lasciato Roma in uno stato da far impallidire i Visigoti del sacco di Alarico, poco cambierà per le sorti dell’Italia, delle democrazie e delle economie occidentali e del vostro vicino di casa disoccupato.

Perché le decisioni più importanti si prenderanno a Bruxelles fra una settimana, quando prima l’Ecofin e poi il Consiglio europeo sceglieranno di dare una risposta politica alla crisi, dando soldi e potere al Fondo Salva-Stati e cercando di salvare l’euro. Oppure sceglieranno di continuare a non scegliere, facendo collassare la Grecia e sgretolare l’euro. E anche Barack Obama ha capito che se l’euro collassa sarà un disastro globale che coinvolgerà anche le economie del dollaro. Della sterlina. Dello Yen.

Se invece Europa e Usa riusciranno a fare fronte a questa crisi, comunque lo faranno facendo pagare il prezzo del salvataggio alla generazione “indignata” o “incazzata” che si appresta a scendere in piazza: togliendogli diritti, welfare e in molti casi speranze. Per questo il 15 ottobre è il giorno di una manifestazione meno estemporanea di altre: è la marcia mondiale di una gioventù ferita.

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