Iran. Tutti gli uomini contro il presidente: cresce l’opposizione ad Ahmadinejad

Mahmoud Ahmadinejad

Siede tra i grandi dell’Onu, appare in trasmissioni tv con volti del calibro di Christiane Amanpour e Larry King: è Mahmud Ahmadinejad a New York, A Teheran invece dietro il politico d’effetto, schietto nella sua linea dura, c’è un presidente che perde consensi. Fra gli stessi religiosi e conservatori stanno montando i malumori nei suoi confronti, come ricorda il Los Angeles Times.

Se il clero sciita lo accusa di interferire troppo negli affari religiosi, il sistema giudiziario lo ha di fatto umiliato ritardando il rilascio di Sarah Shourd, l’americana arrestata al confine con l’Iraq, mentre Ali Khamenei, la guida suprema, ha scelto il direttore di uno dei quotidiani conservatori più influenti, Kayhan da cui sono partite le invettive più dure.

Il direttore del giornale, infatti, ha accusato il presidente di essere manovrato dal suo capo dello staff, nonché ex capo dell’intelligence iraniana Esfandiar Rahim Mashaei, reo a detta di Kayhan di avere architettato “un piano per creare discordia tra i conservatori, spingendo così Ahmadinejad a prendere posizioni scomode anche sulla religione”.

Per alcuni il presidente sta per superare il limite consentito, parlando dei grandi re di Persia e non dello splendore del suo Paese in epoca musulmana.

Ali Mottahari, deputato conservatore molto critico nei confronti del governo di Ahmadinejad spiega: “Il presidente deve sapere che ha l’obbligo di promuovere l’Islam e l’Iran, ma non quello antico, altrimenti perderà il sostegno e la fiducia della nazione islamica”.

Le file dell’opposizione si stanno gonfiando anche di conservatori. In più a fare vacillare la stabilità della presidenza c’è la lotta intestina e sommessa tra apparato statale e società, tra militari e manifestanti riformisti, che dura da anni, ma che dopo il sangue versato nella repressione delle proteste dell’onda verde si è riaccesa.

Inizialmente, come spiega, Michel Makinsky, esperto dell’Iran e ricercatore a Poitiers, la “dura repressione ha dato un po’ di ossigeno extra al regime. Il fuoco però brucia ancora. C’è un divorzio tra la società e il regime”.

Secondo gli esperti Ahmadinejad ha sbagliato nella fase successiva ai tumulti post elettorali del giugno 2009: invece di cercare di guarire le ferite di quel periodo e i contrasti reali alla sua rielezione, il presidente durante il primo anno del suo secondo mandato ha preferito una politica estera ambiziosa. Ha scelto di curare le relazioni con gli altri Paesi, con dichiarazioni impertinenti che” hanno messo a repentaglio la sicurezza dell’Iran” come ha detto l’ayatollah Hashemi Rafsanjani. Trascurando dunque la crisi politica interna in corso, ha allontanato ancora di più sia la classe media che le fazioni più conservatrici, aumentando i sospetti sull’entourage presidenziale.

Che le tensioni al potere in Iran non siano solo propaganda dell’opposizione lo dimostra un recente intervento dell’ayatollah Khamenei:  “Negli ultimi 30 anni, nonostante la rivoluzione e la guerra, non siamo mai stati così in pericolo”.

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