Iraq 2003-2013. Conseguenze di una guerra mai finita: sciiti, sunniti, Siria

ROMA – Iraq 2003-2013: le conseguenze della guerra mai finita. Dieci anni fa, il 20 marzo, il Commander in chief George Bush jr. lanciava l’attacco all’Iraq per disarmare il sanguinario dittatore Saddam Hussein, in nome di una minaccia immediata rivelatasi infondata, nella convinzione che “rispondere a nemici del genere solo dopo avergli concesso il primo colpo non è autodifesa, si chiama suicidio”.

Come fu in seguito acclarato, non esistevano i siti per lo stoccaggio e la fissione nucleare, non le armi batteriologiche e chimiche, non una prova che giustificasse la presenza di armi di distruzione di massa. “Anniversary of a mass delusion”, titola un articolo dell’Economist (online dal 18 marzo): stila un bilancio impietoso sull’esito di un conflitto e, soprattutto, di un rosario di congetture che per stroncare con ogni mezzo il terrorismo internazionale, ha finito per alimentarlo.

L'”incubo febbrile” di una minaccia inconsistente ha condotto solo alla scoperta che:

a) l’Iraq non era agente e diffusore del terrorismo islamico;

b) il terrorismo islamico non è alimentato da dittature fasciste come quella irachena;

c) il terrorismo islamico è alimentato da entità statali fallite come l’Afghanistan o la Somalia

d) per effetto della guerra, l’Iraq è diventato come Afghanistan e Somalia.

Migliaia di morti contano gli eserciti americano e iracheno: la guerra civile che è seguita ha provocato la morte di centinaia di migliaia di civili, gran parte dei quali uccisi da milizie irachene.

Alberto Orioli del Sole 24 Ore (17 marzo) descrive, invece, le condizioni di una “rinascita mancata” di un Paese parzialmente ricostruito in una nazione rimasta disgregata. La guerra non è finita con il ritiro degli americani. L’eredità del conflitto, la sconfitta di Saddam, non ha messo fine alla secolare battaglia tra sciiti e sunniti.

Il Paese è amministrato dai plenipotenziari scelti a Washington, ma non è controllato. Dieci anni di violenze inaudite, esplosioni quotidiane, attentati kamikaze, un destino che sembra essersi riversato sulla Siria, una polveriera dalla quale, non è un caso, l’amministrazione Obama si tiene a distanza di sicurezza. L’epoca baathista finisce ingloriosamente.

“Saddam negli anni 80 era il portabandiera dei sunniti schierati contro la teocrazia iraniana. Questo scontro si è protratto con la guerra del 2003 quando gli sciiti iracheni, per prendere il potere a Baghdad si allearono con gli americani. E adesso attraversa il conflitto in Siria dove la minoranza aluita, setta eterodossa dell’Islam appoggiata da Teheran e dagli Hezbollah libanesi nella battaglia contro arabi e turchi”.

Oggi l’Iraq diviso, lacerato è comunque il secondo produttore di petrolio Opec con tre milioni di barili al giorno. E per la prima volta ci sono compagnie a stelle e strisce sul suo territorio (“Non siamo andati in Iraq per la sabbia. Con l’Iran era l’unico paese dove non c’erano compagnie americane”, Robert Ebel, ex agente Cia e consigliere del Dipartimento di Stato).

Published by
Warsamé Dini Casali