La fine ufficiale della missione bellica americana In Iraq la settimana prossima terrà fede alla promessa fatta durante la campagna elettorale che ha portato Barack Obama alla Casa Bianca, ma presenta anche profondi rischi nel cercare di rivendicarne il merito senza enunciare una prematura dichiarazione di vittoria.
Ma la Casa Bianca desidera trovare un modo per sottolineare il ritiro delle truppe combattenti e ricordare agli elettori, due mesi prima delle cruciali elezioni di medio-termine, che il presidente ha tenuto fede alla sua parola. Obama si prepara a pronunciare un importante discorso sul ritiro la settimana prossima,i suoi consiglieri stanno valutando se fargli incontrare i soldati di ritorno dall’Iraq, e il vicepresidente Joe Biden terrà un discorso lunedi a Indianapolis davanti ai veterani delle guerre all’estero.
Ma il simbolismo delle truppe in partenza riprese dalla televisione ha mascherato una realtà più complessa sul terreno, scrive il New York Times. Anche dopo che l’ultimo soldato combattente avrà lasciato l’Iraq, nel Paese rimarranno 50 mila militari in veste di ”consiglieri” per 16 mesi, sempre in pericolo e armati nel caso che ci sia da combattere. Inoltre, il futuro dell’Iraq resta gravato da incognite e sfide nel quadro di una situazione politica bloccata e di una ribellione che continua ad agire anche se molto indebolita.
”Le manovre politiche sono la norma a Washington, e dichiarare vittoria alla fine di una guerra è molto più popolare che avere il peso della leadership ed avere a che fare con la realtà”, ha dichiarato Anthony Cordesman, uno specialista militare al Centro per gli Studi Strategici d Internazionali a Washington, che ha aggiunto: ”La guerra in Iraq non è finita e non è stata vinta. In realtà è nello stesso punto critico in cui era nel 2003”.
L’amministrazione, d’altra parte, non si fa illusioni, dice Deni McDnough, capo del Consiglio per la Sicurezza nazionale. ”Qualcuno crede – si è chiesto –
che la violenza in Iraq cesserà completamente e che gli oppositori della stabilità e del progresso si ritireranno? No, – ha detto – ma sappiamo che le forze di sicurezza irachene sono sempre più preparate a fare il loro dovere”.
Ma dopo sette anni di una guerra cominciata dal presidente George Bush sulla base di false informazioni, il desiderio di finalità ha attratto l’attenzione su questo momento e provocato nuove discussioni sul significato di tutto quello che è stato.
Dopo una spesa di centinaia di miliardi di dollari, oltre 4.400 soldati americani morti e almeno 100 mila civili iracheni uccisi, il New York Times si chiede se ne è valsa la pena. Dopo aver rovesciato un dittatore e alimentato una debole democrazia le cose sono cambiate? E gli Stati Uniti hanno salvato la loro credibilità resistendo e alla fine stabilizzando l’Iraq anche senza aver ottenuto la vittoria in cui si sperava all’inizio?
Replica L.Paul Bremer III, ex-amministratore dell’occupazione irachena: ”Possiamo essere parzialmente soddisfatti del successo in Iraq. Ovviamente non è ancora un completo successo, ma edificare la democrazia richiede tempo”.