L’Europa sulla scena globale non c’è: il Trattato di Lisbona un’occasione persa

Il Minsistro degli Esteri europeo Lady Catherine Ashton

Il Trattato di Lisbona, varato a dicembre dell’anno scorso, è nato con l’intenzione di rafforzare il ruolo e lo status dell’Europa sulla scena globale. A soli tre mesi dalla sua introduzione ci si chiede, e il New York Times in particolare nella sua edizione del 22 febbraio, se le novità istituzionali introdotte non abbiano addirittura peggiorato le cose, frustrando le ambizioni del blocco europeo.

In effetti i 27 Paesi membri rappresentano, tutti insieme, il più grande mercato del mondo di consumi e scambi commerciali, ma non possono contare su un peso diplomatico equivalente. L’accordo faticosamente raggiunto in dicembre, dopo otto anni di strenua battaglia, non garantisce la tenuta e l’efficacia di strutture istituzionali che possono essere definite “sgangherate”. Autorevoli analisti tentano di giustificare l’impasse europeo con  argomenti ragionevoli: ci vorranno non meno di cinque anni per far funzionare una macchina come il Parlamento Europeo riformato, senza contare che le burocrazie fanno la guerra ad altre burocrazie da almeno 10 mila anni.

Ma il modo con cui il presidente Obama ha evitato di partecipare a un importante meeting europeo segnala un più radicato e diffuso scetticismo americano: oltre Atlantico è difficile comprendere il basso profilo politico adottato per nominare il primo presidente a tempo pieno del Parlamento Europeo, il semi-sconosciuto Herman Van Rumpoy, e del suo nuovo responsabile degli Affari Esteri Catherine Ashton.

Il punto politico risiede nella volontà, a parole da tutti condivisa, di rafforzare i poteri del Parlamento e di farlo parlare con una voce unica nel dibattito globale. Volontà frustrata a vantaggio degli eterni interessi degli stati-nazione, riluttanti a cedere parte della loro sovranità.

Nel frattempo si assiste a uno stillicidio di critiche interne che investono i più alti gradi della burocrazia europea. E’ di lunedì scorso un documento di biasimo da parte del ministro degli Esteri svedese Carl Bildt indirizzata a Lady Ashton, sulla maniera con cui è stata gestita la nomina dell’ambasciatore europeo a Washington Joao Vale Almeida, un uomo del Commissario Europeo Barroso.

Il primo ministro greco Theodoros Pangalos, a proposito della crisi finanziaria del suo Paese, ha apertamente accusato il leader europei di “non essere all’altezza del compito”. E dire che i nuovi poteri conferiti al Parlamento avrebbero dovuto, nelle intenzioni, aiutare a prevenire e contrastare proprio questo tipo di crisi. Il risultato è che per ora l’Europa è molto lontana dal presentarsi compatta e con una sola voce.

E’ vero, come sostiene Thomas Klau, esperto analista delle questioni del Consiglio d’Europa, che tutte le organizzazioni che abbiano avviato un processo di ristrutturazione hanno bisogno di tempo per consolidarsi. Ma dagli Stati Uniti insistono, i leader, Lady Ashton in testa, devono iniziare a farsi valere, da subito: “Se c’è un vuoto di potere, qualcuno lo riempirà”.

I problemi sul tappeto sono enormi e riguardano la capacità dell’Europa di affrontarli, pragmaticamente. Chi assumerà la leadership europea nella lotta ai cambiamenti climatici? Come si è condotta la risposta all’emergenza haitiana, avendo ascoltate le differenti valutazioni francesi e spagnole sulla velocità e l’efficacia nell’erogazione degli aiuti?

In cauda venenum: in Usa desta più di qualche preoccupazione il potere conferito ai deputati dell’Ue, che possono rigettare trattati commerciali e influenzare le politiche agricole, così come intervenire sull’accesso alle informazioni bancarie. Insomma l’Europa è un partner strategico degli Stati Uniti: ma è un gigante dai piedi d’argilla super rappresentato al G20, ma che se non si sveglia può dire addio alle ambizioni di giocare un qualche ruolo sulla scena mondiale.

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Warsamé Dini Casali