TRIPOLI – Caccia ai miliardi di Muammar Gheddafi e figli: il clan potrebbe avere miliardi di dollari nascosti in conti bancari segreti a Dubai, nel sud est asiatico e in Paesi del Golfo oltre alla ragnatela di investimenti amministrati dal fondo sovrano dello stato libico in settori che vanno dall’oro nero agli hotel, dalle banche alle squadre di calcio.
Dal Financial Times, che ha messo le mani su un cablogramma del Dipartimento di Stato del maggio 2006 intitolato ‘Gheddafi Inc.’, emerge il ritratto di un paese gestito come feudo personale dal rais e i suoi parenti. Un portafoglio notoriamente opaco, secondo il documento del fondo di Wikileaks consultato dal quotidiano finanziario, che Gheddafi hanno costruito 41 anni di tirannia e che che ha dato al rais e alla sua famiglia ”diretto accesso a investimenti nel settore del petrolio e del gas, delle telecomunicazioni, dello sviluppo di infrastrutture, hotel, mass media e distribuzione di beni al consumo”.
E’ un capitale enorme che, col passare delle ore e in assenza di sanzioni internazionali, potrebbe venire inghiottito in fondi segreti offshore, hanno messo in guardia politici e attivisti internazionali. ”Bisogna agire rapidamente per evitare che soldi che appartengono al popolo libico vengano nascosti offshore”, ha detto in Gran Bretagna l’esponente laburista Douglas Alexander, ministro degli esteri del governo ombra, chiedendo al capo del Foreign Office William Hague di farsi parte dirigente in sede Ue o all’Onu.
Tecnicamente non è facile: un rapido sequestro dei beni di Gheddafi da parte della Serious Organized Crime Agency può avvenire solo su richiesta diretta di Tripoli (poco probabile per ora) o per voto del Consiglio di Sicurezza (idem, a breve). Sono possibili azioni unilaterali: la Svizzera, che nei giorni scorsi ha bloccato conti sospettati di far capo ai deposti presidenti egiziano Hosni Mubarak e tunisino Ben Ali, segue ”molto da vicino” gli sviluppi legati alla Gheddafi Inc.
Secondo Tim Niblock, specialista di politica mediorientale all’Universita’ di Exeter, ci sarebbe infatti una discrepanza di parecchi miliardi tra i proventi del greggio e le spese del governo: un differenza che probabilmente ha costribuito alla ricchezza personale del rais e dei suoi nove figli. La Libyan Investment Autorithy (Lia), il fondo sovrano costituito nel 2006 per gestire i proventi del petrolio, ha costruito un vasto portafoglio di investimenti all’estero: grazie ai proventi del greggio la Libia è azionista importante di societa’ ‘trofeo’ come la britannica Pearson che pubblica il Financial Times, e sempre in Gran Bretagna, ha acquistato prestigiose proprietà commerciali su Oxford Street e nella City, dirimpetto alla Bank of England.
In Italia, alleato e partner commerciale privilegiato, il governo libico sta in Fiat (da oltre 30 anni, con una quota oggi al 2%), Finmeccanica (2%), Unicredit (7,1% complessivo) e Juventus (7,5%). Sono asset stimati in 70 miliardi di dollari nominalmente intestati al governo. Ma volte gli investimenti della Lia portano il marchio della Gheddafi Inc. Come quando nel 2009 Saif-al-Islam, il secondogenito del rais educato alla London School of Economics, comprò per 10 milioni di sterline una villa con otto camere da letto a Hampstead, nel nord di Londra, piscina e cinematografo incluso.