Libia, l’esercito di Gheddafi fa retrocedere gli insorti. E semina mine nel paese

BENGASI – Come una guerra ‘ad elastico’, ora è di nuovo il momento dell’avanzata delle forze di Gheddafi, e del ritiro di quelle dell”Esercito della rivoluzione’: nel giro di poco più di 24 ore, i ribelli sono indietreggiati di circa 200 km, perdendo il controllo dei due strategici poli petroliferi di Ras Lanuf e Brega, che avevano conquistato solo la settimana scorsa, con la spinta dei raid aerei della coalizione internazionale.

Giunte oltre Ben Jawad, fino ad una cinquantina da km da Sirte, città natale del Colonnello, i volontari che formano le forze della ‘Rivoluzione del 17 febbraio’ cercano ora di riorganizzarsi ad Ajdabiya, da dove dieci giorni fa le forze ‘lealiste’ avevano tentato proprio l’assalto a Bengasi, distante circa 160 km, prima di essere costrette alla fuga dai bombardamenti aerei dei caccia francesi.

Sotto i colpi dell’artiglieria pesante, dei razzi e dei cannoni dei carri armati delle forze gheddafiane, centinaia di pick-up e di auto di ogni tipo cariche di combattenti volontari e delle loro armi leggere hanno percorso oggi a ritroso e disordinatamente la strada nel deserto che la settimana avevano imboccato come in una cavalcata ”verso Tripoli”, come in molti avevano con toni trionfali annunciato.

A coprire la loro ritirata sono arrivati ancora una volta i caccia della coalizione, bombardando prima la strada tra Ras Lanuf e Brega e poi, nel pomeriggio, con altri raid ad Ovest di Ajdabiya, dove peraltro è stato oggi confermato da Human rights watch che le forze lealiste, che ne hanno avuto il controllo tra il 17 e il 27 marzo, hanno disposto numerose mine antiuomo e antiveicolo. Un problema che riguarda i combattenti rivoluzionari, ma anche gli abitanti della cittadina (circa 100 mila), che oggi in buona parte si sono di nuovo disposti ad abbandonare le loro case dove erano tornati solo una settimana fa, trovandole in molti casi saccheggiate o quantomeno danneggiate.

In mattinata, quando la perdita si limitava a Bin Jawad e Ras Lanuf, uno dei portavoce del Consiglio Nazionale provvisorio, Mustafa Gheriani, parlando con l’ANSA ha cercato di non dare troppo peso alla portata della nuova contro-offensiva delle forze del regime. ”L’importante è avere il quadro completo. Non è molto significativo parlare di 50 chilometri in avanti o indietro. Ciò che conta sono le grandi città, Sirte, Misurata, Tripoli”. E poi, ha aggiunto, ”bisogna tenere presente che combattiamo contro un esercito di professionisti, con armi a lunga gittata; mentre noi abbiamo un esercito di volontari, di shabab (giovani), che continuiamo ad addestrare ma con a disposizione solo armi leggere”.

La questione delle armi è diventata ora come la questione dei raid aerei, che tutti a Bengasi chiedevano sino a quando 10 giorni fa non sono iniziati, dicendo che avrebbero ”deciso le sorti della rivoluzione”. Il ministero degli Esteri libico è oggi arrivato a dire con forza che fornire armi agli insorti sarebbe una violazione delle risoluzioni dell’Onu e sarebbe come sostenere i ”terroristi”; mentre uno dei rivoluzionari ha affermato che ”se noi avessimo le loro armi, vinceremmo in un giorno”.

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Maria Elena Perrero