Libia, i morti sono 285. Gheddafi minaccia la fine della collaborazione con la Ue sull’immigrazione

TRIPOLI (LIBIA) – Se l’Unione Europea non cessera’ di sostenere le rivolte in corso nei Paesi del Nord Africa e in particolare in Libia, Tripoli cessera’ ogni cooperazione con la Ue in materia di gestione dei flussi migratori: e’ questa la ”minaccia” arrivata alla presidenza ungherese di turno della Ue da parte delle autorita’ libiche.

La minaccia delle autorita’ libiche e’ stata resa nota giovedi’ scorso all’ambasciatore ungherese a Tripoli. L’Ungheria detiene la presidenza del semestre europeo. ”Il nostro ambasciatore e’ stato convocato giovedi’ a Tripoli e gli e’ stato detto che se l’Unione europea non smettera’ di sostenere i manifestanti, la Libia interrompera’ gli accordi di cooperazione sull’immigrazione” illegale, ha riferito il portavoce della presidenza, Gergely Polner. Lo stesso messaggio ”e’ stato poi trasmesso agli altri rappresentanti europei a Tripoli”, ha aggiunto il portavoce, precisando che le autorita’ libiche hanno voluto in questo modo esprimere la loro insoddisfazione per le dichiarazioni giunte dall’Europa. In particolare per le dichiarazioni fatte mercoledi’ dall’alto rappresentante della Politica estera della Ue, Catherine Ashton, con le quali si invitava Tripoli ad ascoltare la voce del popolo e, soprattutto, ad evitare qualsiasi forma di violenza.

Intanto, con il blocco di Internet e Facebook inaccessibile, l’onda delle rivolte in Libia rischia di estendersi da Bengasi, capoluogo della Cirenaica tradizionalmente avversa a Muammar Gheddafi . Un gruppo di “estremisti islamici” ha preso in ostaggio poliziotti e civili nell’est della Libia. Il gruppo si fa chiamare ‘l’emirato islamico di Barka’, (vecchio nome di una regione della Cirenaica, nell’est), tiene in ostaggio elementi dei servizi di sicurezza e cittadini”. Il sequestro è avvenuto “durante gli scontri degli ultimi giorni”, ha aggiunto una fonte dell’Afp. Il gruppo terroristico “per non uccidere gli ostaggi domanda la fine dell’assedio imposto dalle forze dell’ordine”. Si è imposto con coltelli e armi da fuoco.

I primi dati diffusi da Human Right Watch per tre giorni di contestazione parlavano di 84 vittime, ma poi sono salite oltre i 100 in tutto, con testimoninanze che parlano di  200, 25o fino all’ultima, diffusa dal sito ‘Lybia al Youm’ che parla di 285 e che cita fonti mediche. A Bengasi, dei cecchini avrebbero addirittura aperto il fuoco contro un corteo funebre.

Le altre notizie che arrivano dalla Libia sono tutte incentrate su scontri, occupazioni, morti e feriti. Nel pomeriggio di domenica 20 febbraio una decina di manifestanti antigovernativi hanno anche occupato a Bengasi la sede del quotidiano Qurina, vicino al figlio del leader libigo Muammar Gheddafi, Seif el-Islam- Lo ha detto all’Afp il direttore del glo stesso giornale con base a Bengasi, Ramadhan Briki. ”Dieci persone si sono introdotte nei nostri locali e ci hanno chiesto di andarcene”, ha detto Briki senza fornire altri dettagli. Il quotidiano vicino a Seif el-Islam, considerato il riformatore tra i figli del colonnello Gheddafi, negli ultimi giorni ha coperto gli scontri a Bengasi, seconda citta’ della Libia e roccaforte dell’opposizione, circa 1.000 km a est di Tripoli.

“Bengasi è nel caos”, ha raccontato un italiano sul posto, e anche a Derna, 350 chilometri dalla città al centro della rivolta, secondo testimoni la situazione è drammatica. Un dimostrante a Bengasi ha riferito inoltre alla Bbc che anche alcuni soldati stanno passando ”dalla parte della protesta”, mentre qualcuno riferisce di una citta’ quasi ‘fantasma’ con le forze di sicurezza ritiratesi nella cittadella fortificata, noto come il Centro di Comando, da dove ”sparano i cecchini”.

E, secondo al Jazeera, alcuni aerei da trasporto militari carichi di armi per la polizia sono atterrati in un aeroporto a sud di Bengasi. Poi sono testimonianze e voci incontrollabili quelle che si rincorrono e si accavallano e cui – insistono tutti i media – è difficile trovare riscontri. Come quelle che riguardano anche il figlio di Gheddafi, Saadi, segnalato anche lui nel capoluogo della Cirenaica, assediato dai manifestanti secondo il quotidiano libico ‘Libya El Yom’ che parla anche di una forza militare speciale di circa 1.500 soldati e capeggiata da Abdallah Al Senoussi – genero e capo della guardia speciale del colonnello Gheddafi – diretta nella città per prelevare Saadi e riportarlo a Tripoli.

Testimoni hanno riferito sempre ad al Jazira che ieri vi sono stati i”violenti scontri” tra manifestanti e foze dell’ordine anche a Misurata, terza citta’ della Lbia, situata a est di Tripoli. Secondo questi testimoni vi sono stati ”morti e feriti” tra i manifestanti scesi nelle strade ”a sostegno degli abitanti di Bengasi”.

Negato l’ingresso alla stampa internazionale (ancora informazioni non verificabili riferiscono di manifestanti al valico di confine tra Libia ed Egitto intenzionati a prenderne il controllo proprio per far passare i giornalisti) è la voce degli esuli che getta luce sulla Libia in fiamme: ”Sarà un massacro, sarà un bagno di sangue se la comunità internazionale non interviene”, dice Mohammed Ali Abdallah, vicesegretario generale del Fronte nazionale per la salvezza della Libia, secondo cui forze speciali di sicurezza si apprestano ad attaccare Bengasi e altre città della Libia orientale per lanciare la repressione piu’ dura: “Potrebbe esserci un bagno di sangue già nelle prossime 48 ore”. Forze speciali sarebbero inoltre pronte ad agire, pensate e organizzate per una lotta senza confini: l’obiettivo è annientare la protesta e per farlo, spiega un oppositore, si reclutano “unità militari di origine africana, che non hanno legami tribali e sulle quali si può quindi contare per una letale campagna di repressione”. Perché se “un territorio sempre maggiore nell’est del Paese è sotto il controllo dei manifestanti – spiega la stessa fonte alla Cnn – è per via della struttura tribale che caratterizza la Libia: agenti di polizia e delle forze di sicurezza si rifiutano di sparare contro i manifestanti che appartengono alle loro stesse tribù”, quindi il governo ricorre a “unità militari di origine africana che non hanno legami tribali”.

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