”Sì, la vita è una bella avventura, tanto bella ma quella che sto io vivendo adesso però è una avventura di merda, un’avventura schifosa che non vorrei vivere, mi sembra di vivere in un mare di pus in questo mio scorcio di vita, con questa generazione bianca, selvaggia, proterva, corrotta, pronta a sopraffare, è una bruttissima avventura che vorrei scomparisse presto e rapidamente”.
Questo uno dei passi, tra i piu’ drammatici, dell’ultima intervista (il 24 novembre scorso, cinque giorni prima di suicidarsi) di Mario Monicelli concessa al direttore della rivista mensile ‘Teatro e cinema contemporaneo’ (edita da ‘Le lettere’) Gianfranco Bartalotta che uscirà nei prossimi giorni.
”Se uno vuole raccontare la vita così com’è non la può raccontare sempre e solo drammatica, tragica, disperata con grida e pianti in quanto in essa ci sono anche elementi di ironia, di comicità”, spiega ancora Monicelli. ”Così non si può sempre raccontare di una vita facile, divertente, perché prima o poi – aggiunge il regista de ‘I Soliti Ignoti’ – si incontrano in essa i dolori che fanno comprendere di che tempra, di che misura, è l’uomo, ed è lì che si rivela la sua qualità”.
Il resto dell’intervista è dedicata da Monicelli a diversi momenti della sua carriera, quasi un riepilogo degli episodi più significativi, partendo dal genitore autore drammatico, di orientamento socialista. Poi, i ricordi felici dell’infanzia e degli studi in Toscana, tra Viareggio e la Versilia, molto meno felici gli anni del fascismo e della guerra. ”L’amore per il cinema nasce nel dopoguerra – prosegue Monicelli nel suo racconto – Sono stato attratto dal mezzo magico, meraviglioso, assai popolare. Feci l’esperienza dilettantistica de ‘I ragazzi della via Paal’ che mi laureo’ filmaker. Quindi ho cominciato con il cinema senza piu’ lasciarlo”. Il discorso prosegue sulle valenze della ”commedia all’italiana” definita acre e pungente, categoria assente nel neorealismo. ”La sostanza – osserva il regista – e’ pero’ drammatica. Un film come ‘Amici miei’ e’ un film sulla vecchiaia, la morte, la fine”.
A un certo punto, la conversazione si concentra su Totò di cui vengono magnificate le doti. Il ricordo e’ dei film fatti con lui, ”sempre grande, un maestro che sorprendeva sempre per le sue battute fatte di scatti e intonazioni impareggiabili”. L’intervista e’ un lungo percorso in cui Monicelli non si tira mai indietro nel giudicare il buono e il cattivo dei suoi film. Su tutti elegge ‘L’armata Brancaleone’, a suo avviso, simbolo della degradazione degli ideali cavallereschi e dell’amor cortese.
Monicelliè lucido, preciso, vivace nei giudizi: ”Ho aperto gli occhi con ironia, con garbo, e qualche volta con tratti un po’ duri, all’Italia che viveva il boom e facevo capire che bisognava stare attenti che si poteva andare a gambe all’aria. Come infatti e’ finito”.