Medio Oriente. Tumulti e rivolte cambiano equilibrio potere a favore dell’Iran

Il presidente iraniano Mahmoud Rafdanidejad

IL CAIRO, EGITTO – Le rivolte popolari che stanno sconquassando il mondo arabo hanno cominciato a cambiare l’equilibrio del potere nella regione, rafforzando la posizione dell’Iran e indebolendo quella dell’Arabia Saudita, secondo le valutazioni di esperti mediorientali.

Sebbene sia troppo presto per conoscere quale sarà l’impatto finale delle rivolte e dei tumulti, l’Iran ha già tratto beneficio dalla cacciata o dall’indebolimento di leader arabi che erano suoi nemici ed ha cominciato a dimostrare la sua crescente influenza.

Un esempio è stato il passaggio nel Canale di Suez di tre sue navi da guerra che hanno approdato in Siria senza che i militari egiziani abbiano fatto nulla per impedirglielo.

L’Arabia Saudita, una nazione sunnita da sempre alleata degli Stati Uniti ed ai ferri corti con l’Iran sciita per la preminenza nell’influenza regionale, è stata scossa dagli avvenimenti mediorientali, tanto da indurre il re Abdullah ad annunciare stanziamenti di 10 miliardi di dollari per migliorare le condizioni della popolazione del regno, seppur tralasciando riforme politiche.

Abdullah ha incontrato il re del Bahrein, Hamad bin Isa al-Khalifa, anche lui sotto pressione, per discutere come contenere le proteste della maggioranza sciita nel piccolo regno. Entrambi i sovrani accusano le loro popolazioni sciite di essere alleati dell’Iran, anch’esso a maggioranza sciita, accuse che vengono respinte dagli sciiti, i quali accusano i governanti sauditi e del Bahrein di fomentare tensioni settarie per impedire riforme democratiche.

Le rivolte, scrive il New York Times, nascono da malcontenti interni, ma hanno già sbrindellato un paradigma regionale in cui tre stati filo-occidentali cercavano buoni rapporti con Israele e il contenimento dei suoi nemici, inclusi Hamas e gli Hezbollah.

Questo paradigma formato da Egitto, Giordania e Arabia Saudita è ormai a pezzi: il presidente egiziano Hosni Mubarak non c’è più, il re Abdullah di Giordania è alle strette per contenere il malcontento del popolo nel suo Paese, e l’Arabia Saudita è rimasta sola nel cercare di difendere il suo importante ruolo regionale.

”I sauditi sono atteritti dalla prospettiva dell’accerchiamento da parte di Iraq, Siria, Libano, Yemen e, nel peggiore dei casi, anche del Bahrain”, rileva Alireza Nader, esperto di affari internazionali presso la Rand Corporation. ”Temono che la regione è pronta per essere sfruttata dall’Iran, che ha già dimostrato di essere capace di approfittare dell’instabilità regionale”.

Ha detto in proposito un consulente locale degli Stati Uniti che ha voluto mantenere l’incognito: ”Allo stato dei fatti il vero vincitore è l’Iran”.

E’ anche vero che le circostanze per l’Iran potrebbero cambiare se esagerasse nell’affermare la sua influenza o se i movimenti popolari arabi fossero scontenti dell’interferenza di Teheran nella regione. E non è assolutamente scontato che gruppi filo-iraniani potrebbero dominare la politica in Egitto, in Tunisia e altrove.

E quanto ai movimenti popolari, Flynt Leverett e Hillary Leverett, ex-membri del Consiglio per la Sicurezza Nazionale statunitense, osservano che ”non è detto che una volta al potere siano altrettanto favorevoli alla cooperazione strategica con l’America come i tiranni che li governavano”.

Aggiungono: ”L’Iran vede che l’equilibrio regionale sta decisamente spostandosi contro i loro nemici americani ed a favore di Teheran, nonostante che la situazione interna iraniana sia problematica a causa di un’economia malata, dell’alta disoccupazione e di una forte opposizione”.

L’Iran quest’anno ha dato una prova concreta di come sia imbaldanzito quando il suo alleato Hezbollah ha portato al collasso il governo filo-occidentale libanese del premier Saad Hariri, rimpiazzato da un alleato di Hezbollah, un’audace iniziativa che secondo gli analisti è stata portata a compimento con l’appoggio di Teheran.

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lgermini