BRUXELLES – Migranti, il vertice dei leader dell’Unione europea con la Turchia, che ha chiesto altri sei miliardi, si chiude nella notte di lunedì con una intesa di principio, di fatto un modo per prendere tempo fino al prossimo vertice del 17 e 18 marzo. E c’è il veto dell’Ungheria.
Il premier Matteo Renzi lasciando il summit parla di “piccolo passo avanti” ma ancora “molto resta da fare”, mentre per la cancelliera tedesca Angela Merkel si tratta di “un’intesa sui principi generali che dovranno essere tradotti in iniziative”.
Fonti Ue indicano un endorsement al meccanismo di reinsediamenti ‘uno a uno’ proposto dalla Turchia, alla roadmap per Schengen e agli aiuti umanitari alla Grecia, ma la sostanza resta ancora tutta da mettere nero su bianco.
E’ stato duro il negoziato tra i 28 leader europei di fronte alla nuova proposta di Ankara concordata all’ultimo minuto dal premier Ahmet Davutoglu con la cancelliera tedesca Angela Merkel ed il premier olandese Mark Rutte che ha preceduto il vertice dell’Unione europea.
Tra i più arrabbiati, lo stesso presidente del consiglio europeo Donald Tusk, sentitosi scavalcato, dopo il lavoro condotto in prima persona la settimana scorsa, alla ricerca di un’intesa. Merkel e Rutte, col sostegno del presidente della Commissione europea, Jean Claude Juncker, hanno spinto per arrivare ad un accordo, a costo di andare avanti ad oltranza nella notte.
La cena prevista col premier turco per le 19 non c’è stata. Intorno alle 21, vista l’inconciliabilità delle posizioni, si sono sospesi i lavori per consultazioni e bilaterali, con l’obiettivo di trovare il consenso su un nuovo testo di dichiarazione.
Tra i più intransigenti il premier ungherese Viktor Orban, che ha posto il veto sul meccanismo di reinsediamenti dalla Turchia. Perplessità molto forti sono state espresse anche da Cipro, in merito all’apertura di nuovi capitoli negoziali.
Molti Paesi, soprattutto quelli dell’Est ed i Baltici, hanno chiesto di rinviare tutto al vertice della settimana prossima (17 e 18 marzo) perché la proposta non è stata negoziata. Il presidente francese Francois Hollande ha storto il naso. E anche il premier Matteo Renzi, che come altri colleghi, a partire dal britannico David Cameron, ha sollevato la questione della libertà di stampa al pranzo col premier turco Ahmet Davutoglu, ha chiesto un riferimento nelle conclusioni del summit, minacciando altrimenti un veto. L’Alto rappresentante europeo per gli Affari esteri, Federica Mogherini, ha incontrato i leader di Cipro, Germania, Francia e Regno Unito.
La Turchia, che già ospita due milioni di rifugiati, ha proposto all’Unione europea un sistema di reinsediamenti secondo uno scambio di ‘uno a uno’, dicendosi disposto a riprendere tutti i migranti che hanno raggiunto illegalmente l’Ue da una certa data in poi (e non in modo retroattivo), sia quelli economici che i richiedenti asilo. Ma per ogni profugo siriano riammesso, chiede che i Paesi dell’Unione ne accolgano uno in modo legale dal suo territorio.
In contropartita Ankara ha chiesto tre miliardi aggiuntivi (oltre ai tre già previsti) per il 2018, che l’Europa dovrebbe stanziare sulla base di progetti per migliorare le condizioni di vita dei profughi; l’apertura di cinque capitoli per il processo di adesione all’Unione europea (gli stessi che aveva messo sul tavolo già a novembre); la liberalizzazione dei visti a giugno, anziché ottobre; e ‘aree umanitarie sicure’ in Siria.
“E’ il secondo vertice in tre mesi. Questo dimostra quanto la Turchia sia indispensabile all’Ue” e viceversa, aveva detto Davutoglu al suo arrivo, sottolineando: “La Turchia è pronta ad essere un membro dell’Ue”. L’Unione però non sembra altrettanto pronta e il vertice straordinario, che all’origine doveva durare una mezza giornata, si è trasformato in una lunga corsa a ostacoli.
Durante il consesso c’è stata maretta anche sulla validità giuridica delle riammissioni prospettate. Alexis Tsipras dice di avere già un accordo in questo senso, altri però dubitano che sia giuridicamente sostenibile. Tra le varie opzioni circolate anche la possibilità di destinare i 54mila ricollocamenti, di cui mesi fa Budapest aveva rifiutato di beneficiare, ai reinsediamenti dalla Turchia.