Mikhail Gorbaciov, ultimo leader dell’Unione Sovietica e padre della perestroika, ossia l’insieme di riforme riforme politico-sociali ed economiche avviate a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta in Urss, è morto all’età di 91 anni. Lo ha annunciato il Central Clinical Hospital della Russia, dove era ricoverato.
“Questa sera, dopo una grave e prolungata malattia, Mikhail Sergeyevich Gorbaciov è morto”. Poche, scarne parole, per sancire la definitiva uscita di scena dell’uomo che come pochi altri ha segnato i destini dell’umanità sul finire del Ventesimo secolo.
Il comunicato emesso in nottata dalla Clinica ospedaliera centrale di Mosca dà conto della scomparsa dell’ultimo leader sovietico. La sua uscita dalla scena politica e anche dalla memoria delle nuove generazioni, in Russia così come all’estero, era cominciata da decenni. Negli ultimi due anni era diventata quasi totale. Da quando cioè Gorbaciov, ormai un fragile ultranovantenne malato, era stato costretto ad un pellegrinaggio da un ospedale all’altro.
Un delle sue ultime dichiarazioni è quella rilasciata al Premio Nobel per la pace Dmitry Muratov che lo aveva visitato in clinica. “Non sta bene – aveva detto Muratov – ma mi ha detto che bisogna fare quanto possibile per fermare la minaccia di una guerra nucleare”. Era ancora quella, dunque, la preoccupazione dell’uomo che della distensione con l’Occidente. Insieme con le riforme interne all’Urss, aveva fatto del disarmo nucleare la bussola della sua azione di governo.
Gorbaciov era arrivato nel 1985 alla guida di un gigante malato. La sua ricerca di migliori relazioni con gli Usa e l’Europa occidentale, e gli accordi per la riduzione dell’arsenale nucleare con il presidente Usa Ronald Reagan, lo avevano reso un idolo dei governi e delle opinioni pubbliche straniere.
“Il suo ruolo guida nel processo di pace”, il contributo ai cambiamenti nelle relazioni tra Est e Ovest, e soprattutto quella “maggiore apertura portata nella società sovietica che ha contribuito a promuovere la fiducia internazionale”. Queste le motivazioni con cui il Comitato per il Nobel per la pace decise di insignire Mikhail Gorbaciov il 15 ottobre 1990, quando era presidente dell’Urss.
“In questi momenti è difficile trovare le parole. Sono commosso”. Fu questa la prima reazione del presidente sovietico rispondendo alle domande dei giornalisti al Cremlino. Gorbaciov sottolineò di considerare il Premio “non da un punto di vista personale, ma nell’ambito dell’enorme significato della perestroika”. “Penso che abbia avuto un peso determinante nella decisione sull’assegnazione del Premio”, disse ammettendo che “quando cominciammo la nostra perestroika sapevamo che avrebbe avuto un significato enorme per tutti i Paesi”.
Al suo fianco, a confermare la sua immagine rassicurante, era sempre presente la moglie Raisa, popolare quanto lui. E accanto a lei l’ex leader verrà sepolto, come lasciato scritto nel testamento, nel cimitero di Novo-Dyevitchiye.
Ma sul piano interno Gorbaciov non ha avuto altrettanta fortuna. Per molti russi era l’uomo che proprio con le sue riforme aveva portato al tracollo non solo di un regime repressivo, ma anche di un Paese che proprio sotto l’Urss aveva raggiunto la sua massima potenza. Potenza che poi si era dissolto per lasciare spazio all’avvento della Russia ultraliberista dell’era Eltsin, quando le condizioni economiche di gran parte della popolazione si erano deteriorate a livelli drammatici.
Il presidente russo Vladimir Putin ha espresso le sue più sentite condoglianze per la morte di Mikhail Gorbaciov e manderà un telegramma ai parenti e agli amici del defunto. Lo fa sapere il Cremlino citato dalla Tass.
Ma quale era il rapporto tra i due leader?
“Putin? Ha salvato la Russia“, ma “ora mi sembra malato di presunzione. Tutti mi dicono che non ha più importanza, perché lui è già Dio o, come minimo, il vice di Dio in terra, anche se non so per che cosa…”. Il rapporto tra Mikhail Gorbaciov e Vladimir Putin può essere sintetizzato con queste parole, sospese tra analisi e ironia, pronunciate dall’ultimo leader dell’Unione Sovietica alla presentazione di un suo libro nel 2014.
Apprezzamento per la capacità dell’attuale presidente di assicurare la “stabilizzazione della situazione dopo Eltsin, quando la sfida era salvare la Russia dalla disintegrazione”. Sostegno su alcune delle scelte strategiche più importanti, come l’annessione della Crimea (“storicamente giusta e legittimata dalla volontà popolare”) e la sfida all’allargamento a est della Nato, definito come una “violazione dello spirito degli accordi per la riunificazione della Germania”.
Anche critiche però per l’atteggiamento autoritario e l’accentramento del potere. Negli anni, non sono quindi mancate le stoccate di Gorbaciov allo zar, a partire dagli attacchi al suo partito Russia Unita. Partito che, secondo Gorbaciov “somiglia alla peggior copia del Pcus”. Di più: il presidente russo, aggiunse, è “circondato da leccapiedi”. Ma nonostante l’uso di “metodi autoritari“, aggiunse Gorbaciov, “l’obiettivo di Putin ha incrociato gli interessi della maggioranza”.
Dal canto suo, Putin si è ben guardato dall‘andare allo scontro con il grande vecchio della politica nazionale – anche se a lungo il premio Nobel per la Pace si lamentò che non voleva incontrarlo – e gli ha espresso un apprezzamento quantomeno formale, come in occasione del messaggio di auguri per i suoi 90 anni, in cui affermò che l’ultimo leader dell’Urss “appartiene di diritto alla costellazione degli uomini di Stato notevoli, distinti ed eminenti dei tempi moderni che hanno esercitato un’influenza significativa sul corso della storia”.