«Siamo vicini a una soluzione della crisi con la Svizzera»: lo ha detto il ministro degli Esteri libico, Mousa Kousa, riferendosi alla querelle diplomatica tra Berna e Tripoli che nelle settimane scorse ha provocato una crisi dei visti d’ingresso in Libia che ha investito tutti i Paesi dell’area Schengen.
«La soluzione è prossima anche se la Svizzera ha la grande responsabilità di non aver dato fino ad ora attuazione a quanto concordato fra i nostri due Paesi per risolverla», ha spiegato Kousa a margine della riunione del Congresso generale del Popolo, convenuto a Sirte in occasione dei festeggiamenti per il trentatreesimo anniversario della nascita della Grande Jamahiriya in Libia.
Il ministro degli Esteri libico ha ricordato alla folla e alla stampa che tutto quello che è stato chiesto dal leader «é un arbitrato internazionale», ovvero la scelta da parte della Libia e della Svizzera di «una persona giuridica per indagare su quello che è successo e sulla fuga di documenti in possesso della polizia», ovvero delle foto scattate ad Hannibal Gheddafi in stato di fermo a Ginevra nel luglio del 2008 in seguito alla denuncia per maltrattamenti presentata da due domestici.
Kousa ha proseguito dichiarando che la Libia accetterebbe qualsiasi risultato di questo collegio arbitrale, anche se ha definito «un atto drammatico e illegale» l’arresto del figlio di Gheddafi da parte delle autorità svizzere. Il capo del dicastero degli Esteri libico ha poi ribadito i suoi giudizi sul «deprecabile comportamento della Svizzera che ha portato ad una escalation della crisi».
In particolare Kousa ha ricordato la minaccia svizzera dell’uso pubblico della forza armata contro la Libia e l’elenco di 188 persone non gradite emessa dalla Svizzera che comprende anche il colonnello. «Ritengo – ha concluso Kousa – che questa lista sia un prolungato attacco alla dignità del popolo libico e un affronto non solo ai libici, ma per la nazione araba».