Israele, il divieto di vendita delle case agli arabi spacca in due i rabbini

Benjamin Netanyahu

”Un baratro”: questo, secondo il quotidiano israeliano Haaretz, lo spazio che ormai separa i rabbini nazionalisti – centinaia dei quali hanno sottoscritto un editto che osteggia la vendita in Israele di case ad arabi – e i rabbini ortodossi ashkenaziti (di origine occidentale), i quali sostengono che quel testo va respinto con determinazione.

Ieri, 9 dicembre, lo stesso rabbino ortodosso Yossef Shalom Elyashiv, cento anni compiuti, ha fatto ricorso a tutta la sua influenza morale per condannare quelle discriminazioni.

La vicenda dell’editto – promosso il mese scorso dal rabbino di Safed (Galilea) Shmuel Eliahu – ha suscitato reazioni indignate anche nella opinione pubblica laica, in primo luogo da parte del premier Benyamin Netanyahu.

Oggi, nella Giornata mondiale dei diritti umani, migliaia di persone sono sfilate a Tel Aviv deprecando, fra l’altro, l’editto sottoscritto dai centinaia di rabbini nazionalisti che vieta non solo la vendita ma anche il semplice affitto di case di ebrei ad arabi.

Nella manifestazione l’attrice Einat Weizman ha letto la lettera di un anziano abitante di Safed che ha ricevuto minacce di morte per aver affittato una casa ad arabi. ”Continuerò a rispettare i diritti umani di tutti”, ha garantito l’uomo.

Nel mondo rabbinico intanto infuria la tempesta. Il rabbino Elyashiv ha infatti schernito quei rabbini che hanno sottoscritto l’editto che vieta la vendita di case ad arabi. ”A quelle persone – ha detto ai discepoli – bisognerebbe confiscare la penna”.

Su un piano più generale il religioso ha osservato che l’atteggiamento dei rabbini oltranzisti va deprecato fra tante ragioni anche perché rischia di fomentare l’antisemitismo nel mondo.

Da parte sua il rabbino Eliahu ha fatto sapere che non intende recedere. Uno dei suoi sostenitori, il rabbino Dov Wolfa, ha detto ieri alla televisione di essere pronto ”anche ad andare in carcere, se necessario” pur di sbarrare l’ingresso di famiglie arabe in località ebraiche.

Per il governo Netanyahu, che si basa anche sul sostegno del partito ortodosso Shas – vicino al rabbino Eliahu – si tratta di una patata bollente. Da un lato la stampa rileva che decine dei firmatari dell’editto sono dipendenti statali e sostiene che dovrebbero essere sottoposti a severe sanzioni disciplinari. Ma il premier esita ad aprire con il mondo rabbinico una crisi che potrebbe avere effetti destabilizzanti.

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Maria Elena Perrero