Virginia e New Jersey ai repubblicani. Il voto punisce Obama senza “bacchetta magica”

I repubblicani hanno vinto le elezioni locali in alcuni stati chiave degli Stati Uniti,  Virginia e New Jersey. Si trattava delle prime votazioni dopo la tornata elettorale che incoronò Barack Obama, così molti giornali hanno letto questo risultato come una bocciatura del presidente da parte dei cittadini americani.

In realtà quella odierna è stata la prima grande tornata elettorale da quando il Paese è impelagato nella peggiore recessione degli ultimi decenni: la crisi ha portato al centro dell’attenzione problemi come la perdita di posti di lavoro, i pignoramenti, l’aumento delle tasse.

Evidentemente gli elettori ritengono che la mancata soluzione di tali problemi sia imputabile alle politiche economiche dell’attuale governo. È il solito problema che spesso penalizza chi è alla guida dell’esecutivo: l’elettore vuole tutto e subito, e se il governante non riesce a risolvere i suoi problemi in un batter di ciglia, vuol dire che ha fallito il suo mandato.

Obama si è trovato a guidare il Paese in una delle congiunture economiche più difficili della storia a stelle e strisce, e il poco tempo a disposizione non l’ha certo aiutato: gli americani forse speravano che potesse cancellare tutte le difficoltà con la “bacchetta magica”, ignorando che l’inquilino della Casa Bianca non può avere i mezzi necessari per contrastare un fenomeno di tale portata.

Ecco allora che Christopher Christie diventa il primo repubblicano a vincere nel New Jersey da 12 anni a questa parte: di fronte aveva il favoritissimo Jon Corzine, molto vicino agli ambienti della Casa Bianca, tanto da aver già ricevuto tre visite presidenziali dall’insediamento di Obama. Ma soprattutto Corzine è l’ex capo della Goldman Sachs, una delle banche ritenute responsabili per l’aumento della disoccupazione.

Anche in Virginia gli elettori hanno voltato le spalle al partito del presidente: il repubblicano Bob McDonnell ha surclassato il democratico Creigh Deeds, in uno stato che l’anno scorso aveva votato in massa per Obama malgrado la tradizione conservatrice. McDonnell ha messo da parte tutti gli argomenti relativi alle politiche sociali e ha presentato un programma orientato a creare posti di lavoro, migliorare l’economia dello stato e risolvere i problemi relativi al trasporto. McDonnell è ritenuto un conservatore soprattutto sul piano economico, a testimonianza della scarsa fiducia che un elettorato tradizionalmente liberale nutre nei confronti di politiche finanziarie troppo innovative.

L’unica soddisfazione per il partito di Obama è arrivata dallo stato di New York, dove ci sono state le elezioni suppletive per l’elezione di un deputato: nel feudo repubblicano ha vinto Bill Owens. Un risultato strabiliante, se si considera che il distretto elettorale era in mano al partito conservatore dal 1872 e che il candidato repubblicano poteva vantare finanziatori eccellenti, tra cui Sarah Palin. Il candidato democratico ha approfittato in questo caso della divisione fra repubblicani moderati e ultraconservatori: Dede Scozzafava, moderata e sostenitrice di diritti gay e aborto, ha abbandonato il campo dopo le accuse delle frange più reazionarie del partito. Douglas Hoffman non si è dimostrato abbastanza forte da poter fare a meno delle aree più “miti” della sua fazione politica.

Un discorso a parte merita la città di New York, dove il plurimiliardiario Michael Bloomberg è stato riconfermato sindaco per la terza volta. Eppure si è trattato di una vittoria molto meno semplice rispetto alle previsioni: con i 90 milioni di dollari investiti per la campagna elettorale, quella di Bloomberg sembrava una passeggiata. Invece il democratico William Thompson è riuscito a limare lo svantaggio fino ad una percentuale di cinque punti, segno che la “politica-spettacolo” ha perso il suo appeal anche tra i cittadini della Grande Mela.

Complessivamente il voto americano mette in rilievo la maggiore attenzione degli elettori nei confronti di tematiche concrete, visto che hanno subito sulla loro pelle gli effetti della crisi economica, che in un primo momento sembravano interessare solo i mercati finanziari.

A fronte di quanto accaduto negli Stati Uniti, come si comporteranno gli elettori italiani in occasione delle amministrative che si terranno il prossimo marzo? Daranno fiducia al governo che tra mille difficoltà sta tentando di traghettarli in questo periodo di crisi, millantando riprese miracolose? O si affideranno ad un’opposizione, nonostante appaia sempre più divisa al proprio interno?

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Alberto Francavilla