Primavera Araba, rivoluzione senza intellettuali

ROMA – La Primavera Araba non ha un intellettuale di riferimento. Cominciata più di dieci mesi fa con il suicidio per immolazione di un venditore ambulante, la Primavera Araba, dopo aver rovesciato tre dittatori nel Maghreb e portato alle prime elezioni libere in Tunisia, non ha prodotto alcuna figura intellettuale capace di rappresentare le istanze e gli obbiettivi del movimento.

Rispetto ad altri sommovimenti politici, la Primavera dei popoli arabi non presenta né un programma o un’ideologia definita, né conosce gli alfieri della rivoluzione, dei portabandiera, degli ideologi. Le proteste che portarono alla caduta del comunismo nell’Europa dell’Est nel 1989, alle quali la Primavera Araba è spesso avvicinata, contavano su un’elite di intellettuali implicati nel movimento e che servivano da collante ideologico e mediatico tra i diversi sindacati e gruppi politici.

Vaclav Havel, figura di spicco del movimento nonché primo presidente della neonata repubblica cecoslovacca, prima di diventare un politico e uno statista, era stato autore di un saggio, il Potere dei senza Potere, divenuto un manifesto per i giovani rivoluzionari. Nulla di tutto questo, né un portavoce intellettuale né un programma politico e culturale, può essere anche lontanamente intravisto nei paesi arabi toccati dalle recenti proteste.

Nel mondo arabo gli intellettuali vivono da decenni in una situazione culturale che ne ha impedito un ruolo attivo nelle ultime evoluzioni sociali e politiche. Quelli che vivono nei loro paesi d’origine sono stati «piegati» da decenni di passività civica, schiacciati da una parte tra la repressione del dissenso di regimi illiberali e dall’altra dall’ideologia dominante e soffocante di un islam ortodosso abbracciato dalle masse.

Molti intellettuali per sfuggire alla cappa della censura, per godere di una libertà più ampia, hanno scelto la via dell’esilio, installandosi nella capitali europee del Nord, a Londra o Parigi, da cui hanno continuato a scrivere e ad intervenire nel dibattito culturale, perdendo così il contatto con i loro concittadini.

Una delle più grandi delusioni subite dai protestatori della Primavera è stata l’ambiguità con la quale Adunis, poeta e saggista di origine siriana, da anni residente a Parigi, ha commentato la lotta siriana contro il potere dittatoriale. In una lettera resa pubblica dalla stampa, Adunis si è rivolto al presidente Bashar al-Assad, dittatore dal pugno di ferra e regista di una spietata repressione che ha già portato alla morte di più di 3000 persone, come al «presidente eletto», una frase infelice in un paese in cui il predecessore di Bashar era il padre Hafiz e dove non esistono elezioni libere o libertà di opinione.

Inoltre il poeta, non ha risparmiato critiche al movimento di protesta per il suo uso della violenza e non ha nemmeno alzato la voce contro il sangue versato dal popolo in questi mesi a causa delle operazioni militari volute da Assad. Adunis, negli anni 60 e 70 pensatore ribelle e alfiere della modernità araba è oggi un’imbarazzante voce di contrappunto alle aspirazioni legittime della rivoluzione siriana.

Se gli intellettuali, pur con qualche eccezione, non sono stati in grado di guidare, a volte nemmeno di comprendere, la Rivoluzione, questo vuol dire forse che le Rivoluzioni Arabe non hanno semplicemente bisogno di un’ideologia o di portaparola. In un’era post-ideologica, l’intellettuale non è più il profeta della libertà, ma acquista il ruolo, più defilato, più laico, più democratico, di commentatore, di giornalista o di organizzatore.

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fmontorsi