Ricca, islamica ma non troppo, e con tanto senso degli affari: ecco la Turchia che piace tanto agli Usa

Recep Tayyip Erdogan

Anche il New York Times tira la volata alla Turchia. Mentre Barack Obama ne sponsorizza l’ingresso  nell’Unione Europea in una lunga intervista al Corriere della Sera, il quotidiano della Grande Mela dipinge il Paese del premier Erdogan come un acquisto da cui la Ue avrebbe tutto da guadagnare. Con buona pace di Israele che, probabilmente, assiste perplessa allo slancio d’amore degli States per la Turchia proprio nel momento di massimo gelo diplomatico tra Ankara e Gerusalemme dopo il blitz alla Freedom Flotilla.

La simpatia dell’amministrazione Usa per l’ingresso turco in Europa, del resto, non è esattamente una novità. Se la Turchia guarda a occidente, è il ragionamento, eviterà di avvicinarsi troppo a Paesi “caldi” e politicamente “meno rassicuranti”. E quindi, due giorni prima che il presidente si rivolgesse direttamente alla stampa italiana, sul New York Times compare un lungo reportage che tesse un elogio della Turchia, fino ad arrivare ad una conclusione al limite della provocazione. “Da anni la Turchia aspira ad entrare nella Ue – scrive il quotidiano – ma oggi la questione rischia di diventare oziosa perchè  la Ue ad aver bisogno della Turchia, più che il contrario”. Il New York Times, insomma, fa il gioco della Casa Bianca

Secondo il Times, infatti, la Turchia, con la sua economia in forte ascesa, +11% nel secondo trimestre del 2010, seconda solo alla Cina, porterebbe una bella boccata d’ossigeno alla stagnante economia Ue. Non solo: i conti del Paese islamico sono molto più in ordine dei Paesi deboli dell’Eurozona come la Grecia. L’ultimo problema da risolvere, in casa turca, è l’inflazione. Ma anche in questo campo di passi in avanti ne sono stati fatti diversi: rispetto al 70% di qualche anno fa, negli ultimi mesi l’inflazione si è assestata attorno all’8%.

Il New York Times, quindi, elogia la strategia di Erdogan capace di coniugare conservatorismo sociale e una cauta politica fiscale. Quindi il quotidiano racconta, sempre con toni entusiasti, le storie di diversi imprenditori turchi. Ne esce fuori l’affresco di un Paese che sa coniugare fede e modernità, il ritratto dell’islam che piace a Washington: moderato, serio e imprenditorialmente capace. Il paradigma è Mr Ak, proprietario di un’azienda di leasing. Ak è musulmano praticante, non beve ma va in giro in Ferrari e coniuga osservanza religiosa e senso degli affari.

La Turchia guarda a occidente, fa affari con Iran e Iraq (dai pannolini alle case, passando all’appalto, vinto da poco, per costruire cinque ospedali in Iraq) e quando serve fa la voce grossa con Israele. Della questione curda e del problema dei diritti umani, però, il New York Times non parla. Del resto, nessuno è perfetto: neppure i turchi e gli statunitensi.

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Emiliano Condò