Parallelamente, il ministro della Giustizia Eric Holder ha garantito che lo Stato avrà la mano più pesante nei confronti del traffico di stupefacenti, spesso controllato dalle gang messicane. Sotto l’Amministrazione precedente, quella del repubblicano George W. Bush, vigeva la linea dura nei confronti della marijuana, considerata illegale in ogni caso, anche se 13 Stati dell’Unione avevano autorizzato l’uso medico dell'”erba”.
Alla Abc, il columnist conservatore George Will, un repubblicano atipico perché contrario alla guerra in Iraq e spesso con posizioni libertarie, sostiene che gli Usa «sono probabilmente entrati nel processo di legalizzazione della marijuana», sulla scorta di quanto era successo nei decenni precedenti per l’alcol, il gioco d’azzardo e la prostituzione.
Secondo un professore dell’Università di Georgetown, Peter Cohen, «il prossimo passo sarà uno Stato che decide la legalizzazione totale». Se il governo federale non cambierà atteggiamento, la marijuana legalizzata sarà una realtà di fatto. Un democratico come John Podesta, ex capo di gabinetto del presidente Usa Bill Clinton, appoggia dal canto suo la linea pragmatica di Holder, ricordando che gli Stati Uniti «hanno la popolazione carceraria più elevata del mondo, e credo si tratti della conseguenze di un alto numero di leggi spazzatura. Dobbiamo ricordarci che riempire le carceri ha un costo per la nostra società».
Podesta non crede alla legalizzazione della marijuana «fin quando qualcuno si renderà conto che tassandone i consumi si potrà finanziare la sanità pubblica, oltre a combattere i cartelli messicani, per i quali la marijuana rappresenta l’80% dei redditi». Il punto è proprio questo, tassare la marijuana: sono sempre di più a pensarci in California, lo Stato più popoloso e quello maggiormente colpito dalla crisi. Los Angeles è anche la città degli Stati Uniti con il maggior numero di “spacci”, controllati dalle autorità, per la marijuana a scopo medico, e che molti vorrebbero trasformare in entità “no profit”.