E’ stato l’ufficio politico del comitato centrale del Partito comunista cinese a dirigere l’attacco informatico di cui Google è stata vittima in gennaio. Lo riporta il New York Times citando i documenti di Wikileaks.
“L’attacco a Google era parte di una campagna di sabotaggio coordinata da esperti di sicurezza privati internet reclutati dal governo cinese”, e che si sono infiltrati nei computer del governo americano e in quelli degli alleati occidentali sin dal 2002.
Secondo i documenti di Wikileaks, inoltre, gli Usa hanno discusso con i funzionari di Seul la possibilità di una Corea unificata, nel caso la Corea del Nord dovesse ”implodere” per i suoi problemi economici e per problemi di transizione del leader. Le discussioni si sarebbero estese a come convincere la Cina ad accettare la situazione di una Corea unificata.
Stando all’ambasciatrice americana a Seul, i sudcoreani hanno fatto pressioni sugli Usa per convincerli che ”la cosa giusta da fare” era scommettere sulla ”implosione” della Corea del Nord. Per fare questo sono arrivati anche a ipotizzare non meglio precisate ”tangenti commerciali” alla Cina per ”contribuire ad ammorbidire” le sue preoccupazioni circa l’ipotesi di una Corea riunificata, vista dai cinesi come potenziale alleata americana.
La reazione di Pechino. Nessun riferimento sulla stampa cinese delle rivelazioni di Wikileaks fatte da alcuni giornali internazionali. Secondo le notizie, la Cina dovrebbe essere interessata dai documenti segreti rivelati dal sito di Julian Assange, soprattutto in due casi: la sua ‘amicizia’ con la Corea del Nord nel tentativo americano di chiedere a Pechino di fare pressioni su Pyongyang affinché smetta i programmi nucleari e le sue relazioni missilistiche con l’Iran, e gli attacchi a Google.
Ma sulla stampa cinese e dai vertici del governo di Pechino, non c’è traccia delle indiscrezioni di Wikileaks. Unico riferimento, il messaggio nel quale si riporta la notizia che il re dell’Arabia Saudita avrebbe chiesto agli Stati Uniti di attaccare l’Iran.
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