Un giornale, la Stampa di Torino, partecipa al Gay Pride sotto la mole con un suo carro. Non mi sembra una cosa di buon auspicio. Un giornale deve raccontare, far capire, giudicare anche, non partecipare. Non è la prima volta della Stampa, il precedente è di quasi 50 anni fa, nel 1974, quando il Pci sperava di prendere più voti della dc e nelle elezioni del ’76 quasi ci riuscì.
La redazione della Stampa era molto schierata, una nutrita delegazione sfilò al corteo del primo maggio, uno stagista che resse lo striscione venne subito assunto. Ai torinesi quel tipo di giornale non piacque, la Stampa in un decennio perso un quarto delle copie.
Oggi la Stampa vende 87 mila copie, quasi un quinto del suo massimo cui la riportarono il raddrizzamento di Giorgio Fattori e la chiusura della concorrente Gazzetta del Popolo.
Ma non è un caso isolato, tutti i giornali, mese dopo mese, vendono sempre meno. Colpa di internet ma non solo.
In tutto nel mese di aprile hanno venduto nemmeno 1 milione e 200 mila copie, una ogni 50 italiani. Ancora qualche anno e non sarà più conveniente stamparli in rotativa. Iniziative come l’adesione al corte di Lgbt danno una spinta.