KINSHASA (CONGO) – Si ammala di malaria una mamma italiana ostaggio in Congo, una dei 52 italiani bloccati a Kinshasa da quasi un mese perché mancano i visti di uscita per i 32 bambini che hanno adottato. Per la vicenda è stata molto criticata sul Giornale e Libero anche il ministro Cécile Kyenge, che venerdì ha annunciato un intervento alla Camera dopo un interrogazione parlamentare del Pd.
L’articolo di Oriana Liso per Repubblica:
Ma la preoccupazione, a questo punto, cresce: la copertura dei vaccini che le 26 coppie italiane avevano fatto prima di partire per il Centro Africa è scaduta (durava un mese), quindi tutti quanti sono, a questo punto, esposti al rischio, considerato anche le condizioni igienico-sanitarie non ottimali (manca l’acqua corrente e si usa l’acqua piovana raccolta nei secchi). Spiegano i genitori: «Eravamo consapevoli, ovviamente, che avremmo dovuto adattarci a una situazione difficile, ma per nessuno di noi questo era un problema: siamo qui per portare in Italia i nostri figli. Il problema è che, a questo punto, non sappiamo per quanto dovremo restare». Una certezza hanno ancora, le 26 coppie: «Da qui non andremo via senza i nostri bambini. Ogni sera ci chiedono, a gesti e con le prime parole di italiano imparate: quando andiamo in Italia? Non possiamo tradirli così».
Eppure la soluzione diplomatica tarda ad arrivare, anche se c’è un segnale che può dare qualche speranza: alcune coppie di genitori adottivi francesi sono riuscite a ripartire da Kinshasa direzione Parigi, portando a casa anche i bambini. «È una notizia che ci dà speranza — spiega uno dei genitori, Guido — ma è indispensabile che il governo italiano si muova e risolva una situazione in cui siamo finiti non per colpa nostra ma per una leggerezza, se non un errore, delle stesse istituzioni», dice, riferendosi al fatto che il via libera per partire, a metà novembre, è arrivato proprio dalla Cai, la commissione governativa per le adozioni internazionali.
Dal governo italiano, quindi, le 26 coppie italiane aspettano ora una risposta. Ieri il ministro per l’Integrazione Cécile Kyenge — che per prima aveva avuto contatti con le autorità congolesi, con rassicurazioni che avevano spinto gli italiani a partire — spiegava: «Stiamo intensificando i contatti della diplomazia, ma non è facile prevedere una tempistica, siamo tutti i giorni in contatto con i rappresentanti del governo locale, il ministro degli Interni, quello degli Esteri e anche con il Primo ministro, l’obiettivo è di riuscire a far tornare il prima possibile le famiglie, con i bambini, in Italia».
Venerdì il ministro sarà alla Camera per rispondere all’interpellanza urgente presentata da alcuni deputati Pd, prima firmataria Lia Quartapelle, che ieri hanno incontrato l’ambasciatore della Repubblica Democratica del Congo Albert Tshiseleka Felha per far presente la situazione, chiedendo collaborazione per una rapida soluzione. Dall’ambasciatore (rappresentante di un governo dimissionario, e questo dà l’idea di quanto la questione sia complicata) non ha dato alcuna certezza, ma ha promesso un interessamento. Il ministro, invece, dovrà risponderesu «quale supporto economico e diplomatico il ministero ha intenzione di fornire alle famiglie». Perché — e i racconti che arrivano dal Congo lo dicono, con molto pudore — la permanenza forzata vuol dire anche affrontare spese sempre più consistenti, senza dimenticare che i permessi lavorativi presi non possono essere allungati a tempo indeterminato. Di tutto questo parleranno oggi a Roma le associazioni che si occupano di adozioni internazionali coinvolte nella vicenda, perché scelte dalle 26 coppie: AiBi, I Cinque Pani, Enzo B Onlus. Spiegheranno che in otto anni di relazioni con il Congo non si era mai verificato un blocco del genere, che le procedure delle coppie italiane sono del tutto regolari.
Chiederanno «un atto umanitario in vista del prossimo Natale », perché le famiglie possano trascorrerlo in Italia, sottolineando anche loro «la condizione in cui versano le famiglie desta preoccupazione a causa della lunga permanenza in loco che li espone a rischi di malattie, ad esborsi di denaro veramente ingenti con una incertezza che li sta logorando anche dal punto di vista psichico ed emotivo». Tanti stanno chiedendo un intervento: dall’Unione Italiani nel mondo ai senatori del MoVimento 5 Stelle, che hanno depositato un’interrogazione per chiedere ai ministri degli Affari esteri e per l’Integrazione «quali azioni intendano intraprendere per favorire il rilascio dei visti dei bambini ».