Alfano-Renzi; Grillo a Sanremo; Scontri a Kiev: rassegna stampa del 19 febbraio

Le condizioni di Alfano a Renzi “La maggioranza non può cambiare e se c’è la patrimoniale noi usciamo”. La Repubblica: “Cuperlo: garanzie sull’economia. Oggi vertice di coalizione”

L’articolo a firma di Giovanna Casadio:

La consultazione più spinosa Renzi la lascia alla fine. Nel primo giorno da premier incaricato, alle prese con il difficilissimo puzzle della costruzione di un governo di cambiamento con la stessa maggioranza ereditata da Letta, il segretario democratico deve vedersela con i “paletti” piantati da Angelino Alfano. Il leader del Nuovo centrodestra chiarisce subito che niente è scontato. E se il governo nascerà è perché saranno rispettate alcune condizioni di programma. Per cominciare, «mai la patrimoniale: se si ha in mente di farla, Ncd non entra in questo governo». E mai un esecutivo spostato a sinistra o di centrosinistra, dice Alfano, soddisfatto perché «è emerso abbastanza chiaramente che Vendola non c’è. Primo scoglio superato». E ottiene che questo pomeriggio si tenga un tavolo della maggioranza sull’agendadel nuovo governo.

Renzi acconsente e tratta, sicuro che tra 48 ore ci sarà il patto di programma e la squadra. È una giornata senza fine per il premier incaricato. Nella sala del Cavaliere a Montecitorio, accompagnato da Graziano Delrio e Lorenzo Guerini, il segretario dem inizia con le consultazioni dei “piccoli” (il Centro democratico di Tabacci e Pisicchio, il Psi di Nencini, i Popolari per l’Italia, Gal e Scelta civica, Fratelli d’Italia) e prosegue con la Lega e Sel di Vendola. Avrà il governo di Renzi una maggioranza uguale a quella del passato governo, con l’eccezione di una apertura di Gal. Con la Lega distanza assoluta. Matteo Salvini, il segretario del Carroccio, dichiara: «Non siamo d’accordo praticamente su niente. Un confronto interessante e utile da cui esco preoccupato». Sull’euro e Bruxelles è scontro, e i leghisti alzano i toni anche sul federalismo: «Se Renzi riaccentra, la guerra sarà totale». Il “no” a Renzi viene anche da Vendola: «Faremo un’opposizione non faziosa, ma per Sel le larghe intese complete o miniaturizzate non sono una risposta ai problemi del paese». Il M5Stelle è fino all’ultimo indeciso se andare o meno alle consultazioni: decide il web per il sì, Grillo oggi incontrerà Renzi.

Sanremo, il festival è Grillo: “Riprendiamoci la Rai”. Il Fatto Quotidiano: “Il leader di 5 stelle spara a zero su Renzi e Berlusconi, poi tocca al servizio pubblico: “1,4 miliardi di appalti esterni mentre i dipendenti sono avviliti.”

L’articolo a firma di Ferruccio Sansa:

 Dobbiamo mettere un politometro, così i politici ci diranno come spendono i nostri soldi. Non un redditometro per vedere sempre come li spendiamo noi”. E a Sanremo via Matteotti esplode, dei flash dei fotografi, delle voci dei giornalisti schiacciati come sardine, delle urla di centinaia di persone. Chissà se erano grillini, ma lo sono diventati perché si sono trovati il leader davanti, lo hanno visto, toccato. Hanno postato un tweet con la sua foto.

COSÌ BEPPE GRILLO – accanto al figlio Rocco, un po’ orgoglioso, un po’ preoccupato – ha conquistato Sanremo all’urlo di “Riprendiamoci la Rai”. Portando al pascolo decine di giornalisti che trafelati rischiano l’infarto, pur di raccogliere le parole di Grillo che… li insulta. Mancava da vent’anni, da prima dell’esilio televisivo. Era andato via da comico sparando su Craxi e soci. É tornato da politico prendendo di mira tutti, da Renzi a Napolitano, passando per Berlusconi. Soprattutto lui, il Cavaliere. Come dire, altro che asse M5S-Forza Italia: “Berlusconi era stato mandato via a calci in culo dal Senato ed è entrato al Quirinale scortato dai corazzieri. Un uomo di 75 anni che parla con uno di 90 del futuro del Paese”. Poi Renzi, ovviamente: “De Benedetti manda avanti questo bambino, il vuoto voluto dalle banche. Tre giorni fa aveva detto di essere amico di Letta e adesso gli prende il posto”. Quindi Grillo fa una pausa, ritrova i tempi del comico: “Mentonoooooo”. E la Boldrini? “É andata in tv, ha detto che le avevano fatto la bua. Ci hanno dato degli stupratori, degli squadristi. E intanto lei ha usato la tagliola, per la prima volta nella storia della Repubblica. Intanto mettevano insieme la legge contro il femminicidio e la Tav, così eri costretto ad approvare tutto. Mettevano insieme l’eliminazione della rata Imu e un regalo da 7,5 miliardi alle banche. Ma noi che eravamo contrari all’Imu, non potevamo accettare in silenzio il regalo alle banche”. Ma il vero colpo da uomo di spettacolo, quale Grillo resta, è conquistare il palco nel giorno in cui i suoi avversari politici dominano quello romano. E dove? A Sanremo, l’unico posto dove ci sono più telecamere che a Roma. Di più: Grillo entra nell’Ariston, ovunque adornato da bandierine Rai. E sceglie come obiettivo della sua invettiva proprio la tv di Stato: “Responsabile della rovina del Paese”. A cominciare da Fazio, cui è legato da una reciproca e schietta antipatia. Del resto sarebbe difficile immaginare personaggi più diversi: “Fazio è un bravo ragazzo, moderato, semplice, amato dalle persone anziane”, spiega Grillo con carezze che sembrano scudisciate (Fazio replicherà durante il Tg1, senza nominare l’avversario). Lo zucchero finisce presto: “Fazio si prende 5,5 milioni l’anno, più 650 per Sanremo, poi altre 350mila per la cura dell’immagine. Che fanno un altro milione. Ma soprattutto Fazio ti offre un intero pacchetto: prendi lui e anche i suoi cinque amici programmisti da 50mila euro. Poi il suo regista da 100mila euro, l’ufficio stampa e via discorrendo”.

I blindati contro i manifestanti In Ucraina è un bagno di sangue. Corriere della Sera: “A Kiev 14 morti e 200 feriti. La piazza avvolta dalle fiamme.”

L’articolo a firma di Francesco Battistini:

«Gloria all’Ucraina!». S’alzano i bastoni, mulinano i manganelli. Molotov contro idranti. Blindati e auto rovesciate. Granate stordenti e colpi d’ascia. Inni e sassaiole. Vanno in fiamme le tende della protesta, va in fumo nella notte la speranza d’un dialogo. Ci siamo, tre mesi possono bastare: i Berkut, i corpi speciali della polizia ucraina, alle sette della sera scavalcano l’ultimissimo degli ultimatum, rovesciano le barricate, spianano la voglia d’Europa, rivogliono l’ordine di Mosca. Quattordici morti, sei sono poliziotti. Duecento feriti, sette molto gravi, decine di reporter all’ospedale. È la battaglia di piazza Maidan, la piazza dell’Indipendenza: per non dipendere più dalla Russia e dal disperato bisogno di rubli, per aggrapparsi all’Ue e a quei Ventotto che solo adesso, al novantesimo giorno di resistenza e al quarto assalto di lacrimogeni e sangue, timidamente cominciano a ipotizzare — forse, vedremo, chissà — qualche sanzione.

Tutto si compie in una notte rosso fuoco. Battaglia all’arma bianca, un accerchiamento da Guardia Bianca che nemmeno Bulgakov. Il presidente filorusso Viktor Yanukovich nel primo pomeriggio sigilla i sotterranei della metropolitana. Muove i mezzi corazzati e mobilita novemila uomini d’esercito e sicurezza. Sistema i posti di blocco sulle strade d’accesso a Kiev «per evitare un’escalation di violenze», ovvero che dall’ovest filoeuropeo arrivino i rinforzi ai rivoltosi di Maidan. A Leopoli, altra capitale della rivolta, i palazzi del governo e della polizia sono assaltati. «Le pene saranno durissime», avverte il procuratore generale, ma a Maidan in ventimila restano dove sono. «Yanucovich consuma una guerra contro il suo popolo — è l’appello del pugile Vitali Klitschko, leader dell’opposizione —. Non ce ne andremo, perché questa è un’isola di libertà!». Quando cala il buio, il segnale del peggio lo dà il ministero dell’Interno: «Avvertiamo i fanatici, abbiamo i mezzi per riportare l’ordine, dopo le 17 interveniamo». «Donne e bambini lascino la piazza!», ordina concitato Klitschko che nella notte incontrerà Yanukovich per «parlamentare». Il resto è l’inevitabile: «Picchiano tutti e senza pietà — è l’unico messaggio che alle 21 e 17 c’invia Kateryna M., un’attivista affacciata a una finestra della piazza —. Ci sono volti insanguinati. Qualcuno scappa da edifici in fumo. Stavolta è dura».

La protesta dei 60mila soffocati da tasse e Stato «Pace sociale a rischio». Il Giornale: “Piazza del Popolo invasa da imprenditori e commercianti di Rete imprese Italia: «Il prossimo governo tagli la spesa».”

L’articolo a firma di Antonio Signorini:

Piazza del Popolo stracol­ma così come le salite sopra la fontana della Dea e anche la ter­razza del Pincio. Piazzale Flami­nio semibloccato da una folla colorata e caotica che ricorda più un corteo sindacale anni Settanta che una dimostrazio­ne datoriale. «Per ritrovare una iniziativa di questa portata – ri­corda un artigiano- bisogna tor­nare indietro al ’ 92, con i 100mi­la commercianti, artigiani e im­preditori che invasero Milano contro la minimum tax».

Ieri in piazza a Roma, sotto lo slogan «Senza impresa non c’è Italia, riprendiamoci il futuro», erano in 60mila, chiamati dalle cinque organizzazioni che ade­riscono alla Rete imprese Italia: Confesercenti, Confcommer­cio, Cna, Casartigiani e Confar­tigianato.

Tutti lavoratori «veri», scher­zava un organizzatore. Facile il paragone con le maxi manife­stazioni sindacali degli ultimi anni, zeppe di pensionati orga­nizzati e studenti. Ieri, in una delle piazze più belle di Roma c’era quasi esclusivamente po­polazione attiva. Pochi anziani e giovanissimi, tanta età di mez­zo, quella che di solito evita ban­diere e striscioni. Trenta-ses­santenni in giacca e camicia con le maniche arrotolate, tute e caschi da lavoro, accenti di tut­ta Italia.

I piccoli imprenditori (in real­tà­la fetta più grande del Pil e del­l’occupazione privata) non si sono tirati indietro nemmeno di fronte a un inconveniente non da poco:non c’è un interlo­cutore contro cui scagliarsi, se non la politica in genere. Il go­verno Letta è dimissionario e quello di Renzi non ha giurato.

Ma non hanno rinunciato a mandare messaggi precisi al premier in pectore. «Oggi in piazza siamo in tanti. Ma se non avremo risposte ci ritrove­remo ancora e saremo sempre più numerosi e più determina­ti », è l’avvertimento del presi­dente di Confcommercio Carlo Sangalli. «Senza consumi, sen­za credito, senza legalità, senza riforma fiscale non c’è futuro ed è a rischio la pace sociale».

Marco Venturi, presidente di Rete imprese italia e di Confe­sercenti: «Andiamo in piazza perché non ce la facciamo più». Il governo e il Parlamento «de­vono prendere atto che, fuori dalle stanze della politica, c’è un Paese che sta soffrendo». Renzi, una volta insediato, «de­ve convocarci immediatamen­te » per affrontare i temi più ur­genti: il «fisco, che spinge im­prese a chiudere perché non ce la fanno più. Va riformato e ri­dotto. Poi la pubblica ammini­strazione, la semplificazione».

Published by
FIlippo Limoncelli