
ROMA – La parabola discendente di Giovanni Allevi è descritta in un articolo di Andrea Scanzi sul Fatto Quotidiano. L’ultima dichiarazione pubblica del pianista (“Jovanotti ha più ritmo di Beethoven“) è diventata un tormentone sul web.
Scrive Scanzi:
Povero Giovanni Allevi. Massacrato per un giorno intero, sulla Rete e non solo, per aver detto una cosa che pensa davvero. E reputa persino scontata. Jovanotti meglio di Beethoven, o più esattamente: “Un giorno ho capito che dovevo uscire dal polverone e cambiare approccio con la musica. Stavo ascoltando la Nona Sinfonia di Beethoven e accanto a me c’era un bimbo annoiato che chiedeva insistentemente al padre quando finisse. Credo che in Beethoven manchi il ritmo. Con Jovanotti, con il quale ho lavorato, ho imparato il ritmo, elemento che manca nella tradizione classica”.
Poi Scanzi spiega, dopo gli esordi trionfali e gli osanna della critica, quando è cominciato il declino:
Edmondo Berselli lo punzecchiava di continuo, reputandolo “un compositore e un esecutore veltroniano”. Il coperchio al mellifluo consenso trasversale lo ha tolto cinque anni fa Uto Ughi, infastidito per la decisione del Senato (vabbè, c’era Schifani presidente) di fargli dirigere il concerto di Natale.
Ecco le accuse più comuni rivolte ad Allevi e raccolte da Scanzi:
Da una parte le vendite prodigiose, segno di una capacità forse involontaria di intercettare il gusto popolare. Dall’altra, il bombardamento: “Marketing, non musica”; “Pianista dei tasti bianchi, che ignora i neri”; “Edulco – rato e accattivante”; “Banale e scontato”; “Falso profeta”; “Il Moccia della classica”.
