Berlusconi e Processo Mediaset, Beppe Grillo e Travaglio: prime pagine e rassegna stampa

Il Corriere della Sera: “Il Nord è sull’orlo del baratro.” Crescere o chiudere. Editoriale di Dario Di Vico:

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“Tra i vari spunti che l’assemblea di Confindustria ha fornito con i discorsi di Enrico Letta e Giorgio Squinzi tre meritano di essere sottolineati. Il primo è stato sicuramente sorprendente. Il presidente del Consiglio ha offerto alla platea un obiettivo più che ambizioso: elevare il contributo dell’industria al Pil italiano dal 18 al 20%. L’Italia, dunque, a detta del capo del governo, deve scommettere sulla reindustrializzazione, prendere a modello quanto stanno facendo gli Usa. Squinzi non poteva che accogliere con favore quest’indicazione ma è lecito chiedersi se sia davvero possibile centrare l’obiettivo partendo da una situazione che vede in grave difficoltà settori portanti della manifattura come auto, elettrodomestici e siderurgia. L’assemblea ieri questa domanda non se l’è posta, le occasioni però non mancheranno.
Per reindustrializzare, posto che non possiamo farlo a colpi di nuove Iri, la strada più convincente è di accrescere (notevolmente) il numero delle medie aziende capaci di comportarsi come global company. La manifattura di oggi non è quella del Novecento, le contaminazioni con i servizi sono l’elemento caratterizzante dell’innovazione, distribuzione e logistica sono fattori decisivi per il successo e paghiamo il prezzo di averli sottovalutati.
E allora, se vogliamo perseguire l’obiettivo del 20% la comunità industriale è chiamata a una crescita culturale. È giustissimo chiedere all’Europa di adottare un industrial compact per mettersi in grado di competere con Cina e Usa ma se vogliamo creare «crescita italiana» attraverso l’industria le risposte non potranno arrivare tutte da Bruxelles.”

Bonus casa al 55% fino a dicembre. Articolo di Lorenzo Salvia:

“Il problema è sempre lo stesso, trovare le coperture e far quadrare i conti. Per questo il Consiglio dei ministri di oggi dovrebbe prorogare fino a dicembre di quest’anno soltanto il bonus del 55% per gli interventi che migliorano l’efficienza energetica delle case, in scadenza alla fine di giugno. Mentre, nonostante le pressioni e i tentativi di mediazione, non dovrebbe essere rinnovato il bonus per le ristrutturazioni semplici, quello sgravio del 50% richiesto a gran voce dal settore dell’edilizia, anche questo in vita fino a giugno. Dovrebbe restare ferma anche un’altra misura allo studio, l’incentivo per l’acquisto di cucine e mobili da parte delle giovani coppie al quale sta lavorando il ministro per le Infrastrutture Maurizio Lupi.
Per il momento sono stati trovati solo gli 80 milioni che servono per il bonus sull’efficienza energetica. Un incentivo che, negli ultimi tre anni, è stato utilizzato da quasi un milione e mezzo di famiglie per interventi che riducono i consumi di energia, come l’istallazione di nuovi infissi o di una caldaia a basso consumo, e che hanno creato 50 mila posti di lavoro l’anno. Per coprire anche le ristrutturazioni semplici, ad esempio chi rifà il bagno senza migliorare l’impatto ambientale dell’appartamento, bisognerebbe trovare altri 120 milioni solo per gli ultimi sei mesi di quest’anno. Per il bonus giovani coppie forse ne servirebbero ancora di più. Ma per il momento niente da fare. Anche perché a frenare la caccia ai soldi per il bonus è arrivato il richiamo di Enrico Letta. Il presidente del Consiglio chiede di dare la precedenza assoluta ai 2 miliardi di euro che si devono trovare subito per fermare l’aumento dell’Iva previsto per l’inizio di luglio. I tempi sono stetti, i soldi pochi ed è su questo obiettivo, per nulla scontato, che il governo ha deciso di concentrare gli sforzi. Di tutto il resto si parlerà dopo.”

I distinguo sulle riforme rischiano di accreditare le velleità di Grillo. La nota politica di Massimo Franco:

“Non è chiaro se e quanto esista l’intenzione di avallare una riforma elettorale e di procedere su quelle istituzionali. I distinguo e le freddezze sono palpabili, soprattutto nel Pd. Il timore di rendere inevitabile la formazione di grandi coalizioni con un sistema di voto che aumenta la difficoltà di ottenere una maggioranza è venuto fuori con nettezza. Le critiche liquidatorie al progetto avanzate dal sindaco di Firenze, Matteo Renzi, che si vede come possibile candidato a Palazzo Chigi al posto del premier, Enrico Letta, sono indicative. Danno voce a perplessità che uniscono esponenti della sinistra come Anna Finocchiaro e Walter Veltroni, contrari a un minimalismo riformista dietro il quale intravedono un attentato al bipolarismo. È una polemica insidiosa, perché potrebbe fermare il tentativo del governo prima ancora che decolli.
Al punto che ieri il ministro per le Riforme, Gaetano Quagliariello, del Pdl, ha voluto puntualizzare che l’operazione serve a consolidare il bipolarismo, e non ad affossarlo. Secondo il ministro, dare eccessiva importanza alle modifiche della legge attuale significa perdere di vista l’obiettivo finale; e di fatto lavorare perché non se ne faccia nulla. È un monito a non trasformare l’ultimo impegno in materia di riforme nell’ennesima dimostrazione di impotenza dei partiti. È un rischio presente, e spaventa almeno quanto i cambiamenti, seppure controversi.
La lezione elettorale di febbraio, con l’impennata dei consensi al movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, è stata interpretata anche come una «punizione» nei confronti di partiti incapaci di qualunque riforma: tanto più dopo averne promesse molte, tranne poi scaricare la responsabilità dell’immobilismo sugli avversari. E Grillo è ancora sul palcoscenico delle piazze italiane, in difficoltà per la prova che danno i suoi parlamentari ma più aggressivo di prima. «La politica, forse troppo tardi, ha capito la lezione. Ora deve applicare quello che ha capito», assicura agli industriali Enrico Letta, a partire dal taglio ai costi della politica.”

Piccoli Tribunali resistono ancora l’elenco dei tagli (solo) annunciati. Scrive Sergio Rizzo:

“D’accordo con la proroga anche i grillini e perfino Scelta civica di Mario Monti, proprio il premier del governo autore della riforma che senza lo stop avrebbe tagliato 31 piccoli tribunali e 220 sedi distaccate. Risparmio stimato, 17 milioni l’anno.
Difficile dire se siano più insormontabili i problemi tecnici che pure ci saranno, o invece le allergie politiche locali allo smantellamento di posti di lavoro pubblici. Ma che dopo tre mesi di paralisi parlamentare si parta innestando la retromarcia, non depone proprio bene. Del resto è un segnale perfettamente in linea con la conclusione della legislatura precedente, spentasi affossando la riformina delle Province. Non era certo l’abolizione: un semplice accorpamento. Comunque avrebbe fatto risparmiare 500 milioni, sepolti in Parlamento sotto una irridente gragnuola di emendamenti.
Non possono dunque non far ripensare a quella storia le dichiarazioni di chi, oggi, torna a parlare di abolizione delle Province: sono gli stessi partiti che l’hanno affossata. Di più. Un mesetto fa, in barba al decreto «salva Italia» che a fine 2011 aveva comunque privato le Province dell’elezione diretta da parte dei cittadini, si è votato per il rinnovo del consiglio provinciale di Udine.”

Grillo sferza Siena: qui c’è omertà. Articolo di Marco Imarisio:

“Qui è tutto un cambiamento. Non c’è manifesto di candidato che non inneggi alla necessità di cambiare. La moscia campagna elettorale di Siena si gioca su poche parole d’ordine e alle nove di sera Beppe Grillo le elenca tutte, come premessa iniziale. Monte dei Paschi, la città svenduta, la banca da nazionalizzare, naturalmente il cambiamento, «che siamo solo noi».
La giornata di ieri era considerata una cartina di tornasole importante per capire cosa potrebbe succedere tra poche ore nel luogo che è stato epicentro dell’ultimo e più recente scandalo finanziario. C’era un incrocio mica male tra due personaggi a loro modo dirompenti e antitetici. Matteo Renzi è arrivato nell’aula magna dell’Università degli stranieri a perorare la causa di Bruno Valentini, dirigente Mps, vincitore delle primarie, aspirante sindaco arrivato fin qui per gli stravolgimenti della politica locale. Sala piena, persone fuori ad ascoltare sotto agli altoparlanti. A occhio 6-700 persone, il triplo di lunedì scorso, quando in sala c’era Guglielmo Epifani.”

La prima pagina de La Repubblica: “Berlusconi, premier e evasore.”

“Berlusconi evasore da premier.” La Stampa: “La replica del Cavaliere: motivazioni surreali, mai avuto conti all’estero.”

Ineleggibilità. L’imbarazzo avvelena il Pd. Editoriale di Federico Geremicca:

“Un coro. Con qualche voce dissonante, certo, e qualche tono più basso, più imbarazzato di altri. Ma se si dovesse fotografare la reazione della cittadella politica romana alle motivazioni con le quali la Corte d’Appello di Milano ha confermato la condanna di Silvio Berlusconi a quattro anni di carcere ed a cinque di interdizione dai pubblici uffici per frode fiscale, quella del coro è un’immagine che regge a sufficienza. Il coro recita: per questa sentenza, nessuna ripercussione sul governo. Il Pdl lo annuncia senza tentennamenti; il Pd, invece, se lo augura. E in tutta evidenza, c’è qualcosa che non torna.”

Vota l’amore. Il Buongiorno di Massimo Gramellini:

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“Chissà se qualcuno riesce a spiegarmi cosa ci sia di male nel sms che il ministro Franceschini ha inviato a una cerchia di telefonini intimi: «Caro amico, se voti a Roma posso proporti di dare la preferenza a Michela Di Biase, la mia compagna, che si candida in consiglio comunale? Dario». Il tono è garbato, e palese l’indicazione del rapporto fra la candidata e lo sponsor. In quelle parole vi sembra di intravedere una caduta di stile, un’ostentazione di potere, uno scambio inconfessato di favori? Io (al pari della Santanché, con cui per la prima volta dai tempi delle guerre puniche mi trovo d’accordo) vi ho colto uno slancio d’affetto.”

Il Fatto Quotidiano: “Il partito dell’amore minaccia la Boccassini.” I ladri e i Penati. Editoriale di Marco Travaglio:

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“In perfetta coerenza con la sua missione di depistare i lettori anziché informarli, la gran parte della stampa titola sul falso scandalo di Filippo Penati che incassa la prescrizione a sua insaputa dopo aver giurato che vi avrebbe rinunciato, anziché sul vero scandalo della legge Severino, umoristicamente chiamata “anticorruzione”, che gli ha regalato la prescrizione anticipata. Penati ha lasciato la politica, è tornato a fare l’insegnante (non osiamo immaginare di quale materia) e, in un paese dove neanche i politici rinunciano alla prescrizione di reati gravi, figuriamoci se possiamo pretenderlo dai privati cittadini.”

Il Giornale: “La rivolta del Pdl.” Ridateci un Falcone. Editoriale di Alessandro Sallusti:

Dunque oggi sap­piamo perché Sil­vio Berlusconi è stato condanna­to in appello alla galera e al­l’in­terdizione dai pubblici uf­fici nel processo per i diritti ci­nematografici. È tutto scritto nelle motivazioni, deposita­te ieri, della sentenza. I giudi­ci ammettono che all’epoca dei fatti l’imputato non rico­priva alcun incarico in Media­set in quanto già presidente del Consiglio, ma sostengo­no che è ovvio che lui conti­nuasse a comandare in azien­da, della quale frequentava abitualmente i vertici. Già ap­prendiamo una prima noti­zia, cioè che per la magistratu­ra frequentare­l’amico di sem­pre Fedele Confalonieri e il fi­glio Pier Silvio costituisce di per sé un grave indizio di col­pevolezza. Ma la follia va ol­tre, ed è sintetizzata nella pa­rola «ovvio», usata per copri­re la mancanza di prove. Quindi da oggi il nostro codi­ce penale si arricchisce di un nuovo reato, quello dell’ov­vietà, cioè trasformare un teo­rema in verità senza bisogno di pezze d’appoggio. Non fa­re il furbo, è ovvio che tu sia colpevole. Perché? Perché lo dico io, ovvio.
Se potesse leggere simili motivazioni, il giudice Falco­ne, ne sono certo, si rivolte­rebbe nella tomba nonostan­te il suo volto campeggi nel poster appeso all’ingresso del Palazzo di giustizia di Mi­lano. Ed è ovvio perché. Il suo maniacale rigore investigati­vo lo induceva a evitare di por­tare a processo anche il più noto, e ovvio, dei mafiosi sen­za avere in mano prove schiaccianti. Al punto da non utilizzare a lungo, contro il pa­rere dei suoi colleghi, le cla­morose confessioni fiume di Buscetta (primo grande pa­drino pentito di mafia) per­ché il disgraziato aveva rac­contato di aver frequentato la casa di un politico mafioso collocando nel salone un ca­mino del quale nella realtà non c’era traccia.”

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Gianluca Pace