Bufera sul soccorso rosso della Consulta, Anna Maria Greco sul Giornale

Bufera sul soccorso rosso della Consulta, Anna Maria Greco sul Giornale

ROMA –   Uno squarcio sugli scontri sotterranei che ogni tanto tormentano anche un delle massime istituzioni dello Stato italiano, la Corte costituzionale è aperto da un articolo di Anna Maria Greco per il Giornale. Dietro la sempre apparente unanimità delle decisioni della Corte (negli Usa vengono diffusi i voti pro e contro e anche le opinioni di minoranza), ci sono in realtà forti tensioni.

Scrive Anna Maria Greco sul Giornale:

La prima accusa riguarda il co­municato diffuso alla stampa subito dopo il verdetto. È stato scritto, secondo la prassi, ap­punto da Silvestri. E il costituzio­nalista eletto dal Parlamento su proposta del centrosinistra ha voluto metterci alla fine due ca­poversi molto insoliti: il primo dice che gli effetti della senten­za decorrono dal deposito della motivazione (cioè quello che af­ferma l’articolo 136 della Costi­tuzione) e il secondo per affer­mare che il Parlamento può fa­re comunque una legge eletto­rale seguendo i dettami della po­litica ( anche questo è scritto nel­lo stesso articolo).
Due spiegazioni ovvie, ma il fatto stesso di ribadirle ha aper­to la strada alle più svariate in­terpretazioni e ricostruzioni, è apparso a molti come la volontà dell’Alta Corte di limitare le pe­santi conseguenze politiche del­la sentenza. Cosa di cui i Quindi­ci non dovrebbero preoccupar­si affatto: se una legge è incosti­tuzionale la devono abrogare e basta, agli effetti deve pensare il Parlamento.
Poi Silvestri ne ha fatta un’al­tra: dopo giorni di retroscena sulle discussioni in camera di consiglio, la retroattività della sentenza, il Parlamento delegit­timato, i 148 deputati «abusivi», il presidente della Consulta ha lanciato un richiamo all’ordi­ne. E in una nota ha richiamato proprio i due capoversi di cui so­pra, sottolineando: basta con le illazioni, la Corte parla solo «at­traverso i propri atti collegiali e le dichiarazioni ufficiali del pre­sidente ». Frase strana, che attri­buisce a quello che dev’essere un primus inter pares un ruolo di portavoce e interprete unico del volere della Corte.
Contestando questi due fatti il vicepresidente Mazzella, elet­to dal Parlamento su proposta del centrodestra, chiede che si ristabilisca la certezza delle re­gole. Serve, spiega, una camera di consiglio non giurisdiziona­le, in cui si stabilisca che da oggi in poi i comunicati stampa sia­no approvati dal collegio intero e che si diffonda una rettifica per spiegare che le dichiarazio­ni del presidente non rappre­sentano la Corte e questa si esprime solo con le sue decisio­ni collegiali.
Non è solo, Mazzella. Sembra che il malumore verso Silvestri su questi fatti sia diffuso. Soprat­tutto tra gli 8 giudici che hanno bloccato la manovra degli altri 7 colleghi, compreso il presiden­te, determinati a resuscitare il Mattarellum.
Alla fine, questo gruppo (che sarebbe vicino anche al Colle) è uscito sconfitto dalla camera di consiglio. La Consulta ha ampu­tato le due parti illegittime della legge elettorale, ma ha anche in­dicato la necessità delle prefe­renze per garantire al cittadino la scelta del candidato. Ha la­sciato in vita un sistema propor­zionale con soglie di accesso, seppur minime, in teoria suffi­ciente per andare a votare.
Il Parlamento può fare di me­glio, certo. Ma, si spiega nel Pa­lazzo della Consulta, non sta ai giudici costituzionali dare input in un senso o nell’altro. Con la bocciatura del Porcel­lum è stata eliminata una stortu­ra dell’ordinamento e c’è chi sente l’orgoglio di una sentenza di portata storica. Che ha provo­cato un «azzeramento» simile a quello del dopoguerra, quando l’Assemblea Costituente ha in­cominciato tutto daccapo. Per tanti versi, spiega un giudice co­stituzionale, la situazione del­l’Italia di oggi è simile a quella del ’46: ci troviamo di fronte ad una svolta democratica. Che la Consulta ha determinato con la sua pronuncia, ma che tocca al­la politica interpretare. 

Published by
Gianluca Pace