
ROMA – “Quel reato non esiste” ripete Anna Maria Cancellieri: “Sono stata io a informare il magistrato dei colloqui telefonici con Antonino Ligresti, loro non se sapevano ancora niente — ripete a chi le ha parlato in una domenica che immaginava tranquilla, e invece non lo è stata affatto —. Che senso avrebbe avuto svelare quei contatti e mentire sulla chiamata fatta o ricevuta? O su una conversazione anziché un messaggio telefonico? Io non avevo nulla da nascondere, né allora né adesso. Ho detto e ripeto quel che mi ricordavo e ricordo, senza mai mentire”.
Giovanni Bianconi, dal Corriere, ripercorre il fine settimana della Cancellieri e del Pd tra supposizioni, nuove rivelazioni e le ipotesi di dimissioni:
È un esito niente affatto improbabile, tanto più se dovesse arrivare la notizia dell’iscrizione del ministro sul registro degli indagati, corredata dall’invio del fascicolo alla Procura di Roma. Sebbene il reato ventilato non appaia così semplice da ipotizzare. Nella ricostruzione della Guardasigilli e del suo staff sembra piuttosto destinato a suscitare nuove diatribe.
Tutto ruota intorno al verbale sottoscritto dalla Cancellieri il 22 agosto davanti al procuratore aggiunto di Torino Vittorio Nessi, ascoltata come testimone nel suo ufficio romano di via Arenula. In quella circostanza il ministro, messa a conoscenza di una telefonata tra Gabriella Fragni (compagna di Salvatore Ligresti, arrestato un mese prima insieme alle figlie Giulia e Jonella) e Antonino Ligresti (fratello di Salvatore, non inquisito), rivela di essere stata contattata tra il 18 e il 19 agosto da Antonino, amico di vecchia data, affinché intervenisse per sorvegliare in carcere sulle precarie condizioni di salute di Giulia Ligresti. Il ministro riferisce quel che è ormai noto e acclarato (l’intervento presso i vertici dell’amministrazione penitenziaria, che già erano allertati e dunque non fecero altro che attendere la scarcerazione disposta successivamente dal giudice) e aggiunge che il giorno precedente, 21 agosto, Antonino Ligresti l’ha nuovamente contatta con un sms «e io gli ho risposto che avevo effettuato la segnalazione nei termini che ho sopra spiegato, nulla di più».
Le «false informazioni» si riferirebbero al fatto che il 19 agosto fu lei a telefonare ad Antonino e non viceversa (sia pure in risposta a due precedenti chiamate di Ligresti), e che il 21 lei stessa telefonò ad Antonino, per una conversazione di oltre 7 minuti, di cui non si conosce il contenuto perché non c’è l’intercettazione. Tuttavia le dichiarazioni mendaci, o anche solo omesse, punite dal codice penale dovrebbero riferirsi ai fatti per i quali la Procura procede (il falso in bilancio e altri reati attribuiti ai Ligresti); non a caso la norma prevede che il procedimento venga sospeso finché non si conclude quello principale, almeno con una sentenza di primo grado. Lì si parlava, invece, della salute di Giulia, che non c’entra con le contestazioni ai Ligresti. Ecco perché Annamaria Cancellieri e i suoi collaboratori ritengono che il reato valutato dai magistrati di Torino non sia nemmeno configurabile. E pur conservando piena fiducia nell’operato del procuratore Caselli, col passare dei giorni la Guardasigilli continua a convincersi che l’interrogatorio del 22 agosto (di cui peraltro esiste solo un verbale riassuntivo compilato dal procuratore aggiunto, dove non compaiono le domande e le risposte) non fu la scelta più adeguata da parte degli inquirenti. Potevano svolgere prima altri accertamenti, o stralciare la sua posizione e trasmettere il fascicolo al Tribunale dei ministri, giacché domande su fatti che potrebbero integrare un’ammissione (o copertura) di proprie responsabilità richiedono altri tipi di garanzie, non previsti per un normale testimone.
Ma si tratta di dispute tecnico-procedurali complicate e di difficile soluzione. Mentre sul destino e sulle prossime mosse del ministro incombe una più pressante questione politica. Nella quale gli appigli giuridici o giudiziari rischiano di ridursi a un pretesto.
