MILANO – Carlo De Benedetti e Marco Tronchetti Provera, due figure emblematiche del capitalismo italiano, hanno scelto un’aula giudiziaria per dare sfogo ai propri reciproci sentimenti. O meglio la scelta è stata di Carlo De Benedetti, che ha portato in tribunale con una querela per diffamazione Marco Tronchetti Provera.
In tribunale, lunedì 27 aprile 2015, la tensione era alta se Luigi Ferrarella, cronista giudiziario principe del Corriere della Sera, si è sentito in dovere di scrivere che
“il match dialettico in Tribunale tra il querelante Carlo De Benedetti e la difesa del querelato per diffamazione Marco Tronchetti Provera lascia ammaccature su entrambi”.
Il processo rischia di uscire dai confini di una delle tante cause per diffamazione che affliggono i giudici italiani per diventare una puntata di La Storia Siamo Noi e scavare nel passato di Carlo De Benedetti indietro di quasi 40 anni quando, dopo 100 giorni come amministratore delegato della Fiat se ne andò. Fu Agnelli a licenziarlo o fu lui a lasciare per contrasti con Gianni Agnelli, presidente della Fiat, e con l’altro amministratore delegato, Cesare Romiiti?
Anche se c’è chi è convinto della propria ricostruzione di come andarono le cose, dopo tante versioni e polemiche il pubblico ha una visione un po’ contrastata che l’udienza del 27 aprile non ha reso più limpida. Per questo è stato chiamato a testimoniare nell’udienza che si terrà l’11 maggio Cesare Romiti, oggi ultra novantenne, che dopo l’uscita di Carlo De Benedetti nel 1976 e l’estromissione di Umberto Agnelli nel 1980 è poi diventato amministratore delegato unico e plenipotenziario della Fiat e tale è rimasto per molti anni, lo scambio di piacevolezze in pubblico e sui mass media tra Carlo De Benedetti e Marco Tronchetti Provera ha inizio sette anni fa. L’episodio di cui si occupa il Tribunale di Milano è del 29 ottobre 2013, quando Marco Tronchetti Provera disse:
“Se anch’io raccontassi la storia delle persone attraverso luoghi comuni e slogan, potrei dire che l’ing. De Benedetti è stato molto discusso per certi bilanci Olivetti, per lo scandalo legato alla vicenda di apparecchiature alle Poste italiane, che fu allontanato dalla Fiat, coinvolto nella bancarotta del Banco Ambrosiano, che finì dentro per le vicende di Tangentopoli. È evidente che non parliamo la stessa lingua, come è normale possa succedere tra un cittadino italiano e uno svizzero”.
Scatta la querela di Carlo De Benedetti, il quale “denuncia la falsità” di quanto detto da Tronchetti Provera, a sua volta “in risposta a precedenti giudizi” di De Benedetti.
La cronaca dall’aula del tribunale di Milano di Luigi Ferrarella è degna di Erle Stanley Gardner:
“«I bilanci Olivetti non sono mai stati impugnati — esordisce ieri De Benedetti —, chiamarmi “discusso” vuol dire far credere che fossero falsi».
Ma il professor Tullio Padovani, legale di Tronchetti, domanda: «Ricorda la sentenza del gup di Ivrea del 14 ottobre 1999?».
«Non ricordo», tentenna De Benedetti.
«Non ricorda che patteggiò 3 mesi, poi convertiti in 50 milioni di lire di multa, per bilanci Olivetti 1994-1995-1996 riguardo crediti o ricavi inesistenti per 45 e 60 e 18 miliardi di lire? Non ha ricordo di aver risarcito l’Olivetti?».
«No».
«Eppure lei l’ha risarcita — infierisce Padovani —, non ricorda nulla?».
«No».Saranno poi il professor Carlo Federico Grosso, legale dell’Ingegnere con Elisabetta Rubini, e un portavoce a precisare che tutte le accuse (meno una) mosse dall’ex dg Renzo Francesconi vennero «ritenute infondate» e archiviate; mentre per una, «per evitare ulteriori ripercussioni negative da un lungo e complesso dibattimento», De Benedetti «accettò di patteggiare un’ipotesi di falso qualitativo (anticipazione di modesta entità del fatturato a cavallo di due esercizi) che, per i consulenti stessi dei pm, non ha avuto la minima influenza sul risultato economico».
Padovani sull’Ambrosiano cita la condanna per bancarotta a 6 anni emessa da Tribunale e Appello prima di essere annullata in Cassazione: ma De Benedetti ribatte che Tronchetti, chiamandolo «coinvolto nella bancarotta» anziché nel processo, disse «una cosa subdola ma in sostanza falsa, perché per la Cassazione io non avrei mai dovuto essere sottoposto a processo».Contropiede di De Benedetti quando, sulla cittadinanza svizzera evocata da Tronchetti «per lasciar credere che io non pagassi le tasse in Italia», dimostra che sino al 2 gennaio scorso ha sempre avuto residenza fiscale in Italia.
Si passa alle tangenti alle Poste per cui subì un arresto-lampo a Roma nel 1993, «unico ad assumermi le responsabilità per quanto sapevo e anche quanto non sapevo, a discarico dei miei manager: fui parzialmente assolto e parzialmente prescritto».Quasi di più gli brucia l’etichetta di «allontanato» dalla Fiat nel 1976, «quando invece fui io a dimettermi»:
Padovani gli chiede perché non querelò i giornali che parlarono di «cacciata» per una tentata scalata ostile a Fiat, lui rievoca che «era inutile smentire mettendosi contro l’ufficio stampa Fiat. E non aveva senso stare a smentire le sciocchezze che giravano, come quella che nella inesistente scalata io avessi dietro la lobby ebraica, figurarsi se gli ebrei mettevano soldi, al massimo li volevano…», scherza sul luogo comune l’Ingegnere che è ebreo della comunità torinese.A riprova che non fu cacciato ma si dimise per contrasti con Agnelli, valorizza una pagina di Romiti in un libro, ma Padovani oppone un’altra pagina di Romiti sul «congedo» ad opera di Agnelli.
E qui l’Ingegnere sbotta, «chiedo allora si ascolti come teste il direttore di Repubblica , Ezio Mauro, presente a un colloquio nel quale Romiti si scusò con me per le maldicenze». Romiti verrà ascoltato l’11 maggio”.