ROMA – Fra Tasi, Tari, Imu, registro, catasto e imposte ipotecarie gli immobili regalano allo Stato oltre il 3% del Pil.
Scrive Francesco Forte sul Giornale:
La Befana ai proprietari di immobili porta un grosso sacco di carbone. Se il governo varerà la nuova legge che aumenta al 3,5 per mille il tetto della Tasi, la nuova tassa per i servizi indivisibili dei Comuni, che è una nuova Imu mascherata, la pressione patrimoniale su di loro arriverà, nel 2014 a 41 miliardi di euro pari al 2,6 del Pil previsto in circa 1.580 miliardi. Una pressione enorme, che ci pone alla testa della graduatoria mondiale della tassazione patrimoniale sugli immobili, in quanto bisogna aggiungere a questo totale quello della tassazione di registro, ipotecaria e catastale che dà un gettito annuo di circa 8 miliardi. Così si arriva a oltre 49 miliardi, cioè il 3,1% del Pil. L’aumento della Tasi, dal 2,5 per mille al 3,5 per mille ha una motivazione che è una beffa. Infatti si afferma che esso serve per consentire ai Comuni di dare detrazioni dalla Tasi sulle abitazioni principali di valore modesto e in base al numero dei membri delle famiglie. Ma la Tasi è un nuovo tributo, che si aggiunge a quelli esistenti. E con detrazioni paragonabili a quelle attuate nel 2012 sulla prima casa per l’Imu, essa renderebbe comunque, a carico di questi immobili, ben 2,5 miliardi (…)
Infatti la Tasi non va a gravare solo sulle abitazioni principali, colpisce tutti gli immobili, compresi quelli tassati con Imu. Su questi altri immobili l’aliquota al 3,5 per mille porterà ai Comuni un po’ più di 4 miliardi. Il gettito complessivo della Tasi si può così stimare in 8 miliardi. Ma non basta. Dal 2014, Infatti accanto alla Tasi, è stata introdotta la Tari, sigla che vuol dire «Tariffa ambientale per i rifiuti», in base alla demagogia tributaria per cui la parola «ambiente» rende sacro ogni balzello. Questo tributo, infatti, sostituisce la Tia, ossia la Tariffa di igiene ambientale che dal 1999, secondo una legge utopica del governo Prodi, doveva rimpiazzare la Tarsu, Tassa per i rifiuti solidi urbani, basata sui metri quadri catastali come indice presunto di volume di rifiuti prodotti.
Il cambio di nome, voluto dal ministro Ronchi, serviva a stabilire che il tributo si misura su parametri riferiti all’ammontare e alla qualità dei rifiuti che le singole unità immobiliari producono, secondo il principio «chi inquina paga». La Tari recepisce tale principio e aggiunge che la tariffa deve coprire tutta la spesa del servizio. Ciò in teoria sarebbe equo se questa spesa fosse vincolata a costi standard, obbligando i Comuni a metodi dismaltimento efficienti e se i parametri per calcolare i rifiuti nei casi singoli fossero fissati per legge, con criteri oggettivi. Ma essi sono stabiliti dai regolamenti municipali discrezionalmente. I Comuni diventano di fatto titolari del potere tributario, che spetterebbe al Parlamento. I costi di raccolta e smaltimento variano moltissimo da un luogo all’altro. Il costo medio nazionale è di 0,22 euro per kg ma scende a 0,1 in Veneto e sale a 0,34 nel Lazio e in Campania e a 0,36 in Liguria. Gli aumenti della Tari più la Tari portano a una tassazione patrimoniale della prima casa media pari a quella dell’Imu, ma in molti Comuni l’onere sarà maggiore (…)